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Se la morte è “democratica”.

A Imperia è morto, a 94 anni, un sacerdote molto popolare, don Gustavo del Santo, professore di filosofia e maestro di musica per generazioni di imperiesi. La gente legge il suo manifesto funebre e osserva, tra stupita e sconcertata, che, dopo la cerimonia religiosa in duomo, “la cara salma proseguirà per l’Ara crematoria di Bra”, cioè sarà cremata. La Chiesa non proibisce più da tempo la civilissima (sarà anche la mia) scelta della cremazione e quindi niente di anticristiano nella decisione di don Del Santo (anche don Balletto a Genova l’aveva presa dieci anni fa).
Ma lo stupore della gente non è immotivato e nella ricorrenza della commemorazione dei defunti vale forse, per chi ne ha voglia, una riflessione. Per secoli la civiltà occidentale (diversamente da quella orientale in cui la cremazione è sempre stata costume popolare) ha scrupolosamente conservato le “spoglie mortali” (spoglia, cioè l’involucro privo dell’anima) dei defunti. L’ebraismo e il cristianesimo, in modi diversi, credono nella resurrezione dei morti o, come si dice con espressione cruenta, “della carne”. I morti erano sepolti dentro o intorno alle chiese e i cimiteri si chiamavano camposanti, perché l’idea della terra benedetta prevaleva su quella del luogo di riposo espressa dalla parola cimitero.

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