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Case Funerarie, crematori e colombari: l’Italia è una valle di lacrime.

Se l’American way of death (Jessica Mitford, 1963) è ancora lo specchio in cui è possibile anticipare i cambiamenti che prima o poi giungono nei nostri confini, l’articolo di Ubaldo Spina circa il nuovo libro di Kate Wight chiama considerazioni sul paesaggio italiano.

Il fenomeno pandemico ha portato ad una maggiore esibizione della morte, senza mutarne le modalità di esposizione. Essa resta un tema televisivo solo quando spettacolare e per il resto taciuto, tabù di tutte le componenti sociali: da quelle parlamentari, che da troppo tempo rimandano una riorganizzazione sistematica della legislazione specifica, a quelle accademiche (architettura inclusa), per le quali la riflessione sulla morte, il morire e i suoi luoghi è periferica se non dimenticata.

Per la Chiesa è invece urgente riavvicinarsi al tema, come pare suggerire la sessione dedicata a “Il Luogo del Commiato” nel quadro dell’ultima edizione di “Koiné Ricerca” (24 ottobre 2021, Vicenza). Si tratta però solo di tendenze. Allo stato attuale, in Italia, la morte e il morire, come spazio e come rito, restano patrimonio delle onoranze funebri, e l’adesione ai servizi offerti contribuisce a descrivere il caleidoscopio delle culture regionali nelle distanze tra Nord e Sud del Paese, ma anche tra aree metropolitane e zone interne.

fonte: ilgiornaledellarchitettura.com

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