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Quelle immagini agghiaccianti che non scorderemo mai.

Le colonne di camion militari, ressa ai forni crematori, fosse comuni, storie di morte senza dignità. Immagini da Bergamo in due tristi occasioni, la prima verso il picco della metà di marzo, la seconda alla fine dello stesso mese. I mezzi sfilano in colonna lungo le strade della città. Dai balconi gente che guarda con il cuore stretto tra l’incredulità, la pietà e la paura che penetra, che si respira nell’aria. Il telegiornale commenta; zittisce ogni pensiero nella gente che dalle case segue attonita e spersa, che non vorrebbe, ma capisce. La gola si stringe, l’occhio non trattiene una dura lacrima, l’emozione spinge, la si deve deglutire.
I camion militari sono pieni di bare; dentro, salme di persone spirate in pietose condizioni di estrema emergenza; sconfitte dal virus letale mentre lottavano aggrappate ad un respiratore in qualche intasata area critica di un ospedale o mancate in quel letto sbagliato nella casa di cura. Gli autocarri vanno verso il bruciatore, tutto si svolgerà in fretta. Non c’è tempo per un cristiano gesto di compassione, nessun parente ad accompagnare il feretro. Non si poteva fare altrimenti!
Quelle immagini resteranno per sempre. Forse ci abbiamo messo un attimo in più per realizzare l’immensa catena di disperazione e di dolore che scorreva di fronte ai nostri attoniti sguardi. Un pensiero ai loro cari ha fatto il resto. Due persone di ogni rattristato nucleo familiare chiuse nelle loro auto, perché non seguivano il convoglio? Sempre due persone per ogni breve funerale: si poteva fare? Mascherine e distanza a norma di legge, di certo non si sarebbe originato alcun rischio: in cambio, tradizionale dignità per quell’ultimo addio. Invece, al seguito di surreali convogli di morte, quanto dolore aggiunto è andato a sommarsi a troppi lutti senza dignità? Ultimi viaggi senza diritto di replica e dei quali ancora poco si sa. Si poteva organizzare un addio in quel picco di crisi e durante il viaggio verso i forni crematori di altre città, di province vicine? Forse no.
L’infelice destino degli “ultimi” non è finito lì. Dagli Usa giungono le atroci immagini delle fosse comuni ricavate in Central Park per i barboni della civilissima New York, per gli altri un’isola. Dal Brasile tocca agli sventurati di Manaus, capitale della provincia amazzonica: sono centinaia le bare in fila che attendono la fossa comune. Sono pugni nello stomaco per noi, gente per bene dietro lo schermo della tv. Mai avremmo immaginato tali scenari di guerra.
Intanto in Italia la feroce morsa del virus, se non è illusione, un poco rallenta e l’umanesimo si rammenta anche degli ultimi. In alcuni casi si è fatto di necessità meritevole virtù. Al Cimitero Maggiore di Milano sono state ricavate 60 fosse con un cippo che riporta il nome e cognome del defunto per tutti quei morti non reclamati da alcuna famiglia, così da dar loro comunque una degna sepoltura. Segnali di pietosa appartenenza che consentono di pensare all’uomo come essere comunque pervaso da un umanesimo sempre ravvivato nei momenti più bui, così da lasciare accesa una candela di mistico auspicio ad illuminare il futuro così come si spera che presto verrà.

Carlo Mariano Sartoris

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