Le macchine sfilavano, una dopo l’altra, in un pomposo corteo funebre. Gli autisti aprivano lo sportello e i boss scendevano tenendo in mano una rosa rossa. Era il loro omaggio alla salma di don Vito Corleone. C’erano gli amici, i nemici e pure i traditori al funerale de “Il Padrino” descritto dalla penna di Mario Puzo prima e dalla pellicola di Francis Ford Coppola poi. Erano gli anni Settanta. Andava davvero così. Quarant’anni dopo la cronaca, e non la cinematografia, offre spunti per una fenomenologia del funerale mafioso. Niente più cerimonie in pompa magna, salvo rari casi che sfuggono al controllo e danno fiato alle polemiche. Il tono minore, però, non impedisce il manifestarsi della simbologia e rinnova la riflessione sul distorto rapporto che hanno con la fede gli uomini di cosa nostra. Una cosa nostra che, badando alla sostanza, ha trovato tempo e modo per speculare sulla morte altrui. Con il business del caro estinto.