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Gli epitaffi? Una raccolta di informazioni preziose.

Per gli ebrei l’importanza dei loro cimiteri è straordinaria ed è facile comprendere il perché. Ma c’è un rilievo storico notevolissimo anche per i non ebrei, per gli storici. Mauro Perani, mantovano e ordinario di Ebraico all’Università di Bologna, è autore di numerose pubblicazioni ed ha ritrovato e tradotto moltissime stele. “Il patrimonio culturale ebraico dell’Italia è uno dei più importanti del mondo occidentale. Infatti, per la centralità geografica della nostra Penisola nel Mediterraneo, che fu il proscenio dello sviluppo e del fiorire della civiltà occidentale antica, l’Italia svolse la funzione di ponte naturale fra Oriente e Occidente e fra Africa ed Europa“. Perani spiega che una delle ricchezze del patrimonio culturale ebraico dell’Italia, unica nel suo genere per antichità, è proprio l’epigrafia. “Quest’arte divenne un vero e proprio genere letterario, caro a rabbini e studiosi che componevano raccolte di epitaffi sia reali, redatti per defunti veri, sia fittizi o per loro stessi, ossia degli auto-epitaffi. I componimenti presentano una struttura bipartita nella quale si distingue una parte in prosa e una in poesia: nella prima si forniscono informazioni sul defunto, la data, la causa della morte e a volte l’età; nella seconda si esaltano le sue qualità applicando a lui citazioni tratte dalla Bibbia o dalla letteratura rabbinica, con giochi retorici e poetici, anagrammi e acrostici del suo nome. Queste caratteristiche fanno sì che le epigrafi dei cimiteri ebraici della Penisola siano divenute una vera e propria raccolta di poesie e di informazioni incise sulla pietra. La cultura ebraica relativa alla morte, ai suoi riti, alle sue liturgie, mantiene un alone di mistero e di indeterminazione, dovuti forse al fatto che l’ebreo non parla e non ama discutere dell’aldilà, non se ne preoccupa più di tanto e, tanto meno, osa immaginarselo e rappresentarlo, in chiaro contrasto con il ridondante immaginario cristiano, espressosi in tante opere letterarie a partire dalla Divina Commedia di Dante“. Perani entra ancor più nel dettaglio della struttura dell’epitaffio. “Ma chi parla nel testo l’epitaffio? Ci sono diverse possibilità: a volte è la lapide stessa che esorta il passante a riflettere sulla fugacità della vita, a rivolgere un pensiero al defunto e a pregare per lui. A volte è una voce terza, attraverso la quale l’autore del testo invita il visitatore a considerare la vanità della condizione umana, sottolineandone la brevità, il dramma della fuga temporis, e la tragica inevitabilità della morte. Il testo spesso prosegue sollecitando i visitatori e i passanti a dedicare un pensiero al defunto e a seguirne l’esempio di vita morale e virtuosa. In altri casi è il morto stesso che invita il visitatore a meditare sulla fatuità dell’esistenza, invitandolo a godersi la vita e a ringraziare Dio di vivere, mentre egli è oramai un corpo in decomposizione, pasto dei vermi“.

fonte: gazzettadimantova.gelocal.it

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