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Acapulco. Il paradiso diventa un inferno.

aapIl sicario è un chavo qualunque, felpa grigia, nuca rasata, sneakers ai piedi. Sbuca da un angolo oscuro di calle Urdaneta alle spalle di un tipo sulla ventina in bermuda a fiori e t-shirt, gli esplode un colpo in testa, infila la pistola nella cintola dei pantaloni, butta sul marciapiede un foglio di carta e si allontana senza fretta verso le luci della Costera, il lungomare di Acapulco. I primi ad arrivare sono gli agenti della polizia federale, seguiti dalle camionetas dei marines e dal medico legale. Chiudono la scena del crimine con nastri di plastica gialla, fotografano il cadavere, cercano i proiettili, esaminano la narcomanta , il messaggio lasciato dal killer. I lampeggiatori rossi e blu dei gipponi militari proiettano sui muri delle case le ombre ingigantite dei necrofori della mortuaria. Sistemano la salma nella barella e la caricano su un furgone: se all’obitorio nessuno si farà avanti a reclamare il corpo, finirà insieme ad altre dozzine di cadaveri senza nome nelle fosse comuni del cimitero di El Palmar, sulle alture della sierra di Guerrero.

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