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“Così sono sopravvissuta alla pena di morte in Uganda”.

Susan Kigula oggi non dovrebbe essere qui, a Oslo, a cercare di tenere a bada il vestito leggero che il vento non vuole lasciare in pace. Susan dovrebbe essere in Uganda, il suo Paese, appesa alla forca di Kampala con il “vestito degli impiccati“, una tuta con decine di tasche riempite di sabbia per rendere più pesante il corpo quando si apre la botola. Sorride, sorride sempre Susan, e dice: “Vedi, io sono la testimonianza vivente che non bisogna mollare mai, che la morte non è la cosa peggiore che ti può capitare, la cosa peggiore è morire dentro mentre siamo ancora vivi“.

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