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Ho lasciato il cuore a Barcellona e continuerò a cercare il mondo fuori dalla cameretta anche per loro.

Gli occhi colmi di sonno e dei colori dei fuochi d’artificio, l’animo pieno di gioia e di adrenalina. Le sette ragazze italiane morte nell’incidente che ha coinvolto un autobus nei pressi di Tarragona all’alba di domenica 20 marzo stavano tornando da una festa. Avevano trascorso la notte a Valencia per partecipare a Las Fallas, il tradizionale evento con cui la città accoglie la primavera: giochi pirotecnici, roghi di pupazzi, concerti, offerte floreali alla Madonna.

Il capo appoggiato al finestrino, il sorriso stampato sulle labbra, la stanchezza mista all’entusiasmo. Me le immagino così, quelle sette ragazze, ventenni come me, e che come me avevano scelto Barcellona come meta per un’esperienza all’estero. Forse a qualcuna di loro stava ancora chiacchierando al momento dello schianto. Forse altre si erano già addormentate, la testa ciondolante per il sonno, e non si sono accorte di nulla. Dopotutto, erano le sei del mattino. Fatto sta che il momento dello schianto è arrivato, pare a causa di un colpo di sonno del conducente.

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