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Jim Knipfel. Un “memo-noir” tra fast food e violenze oscure.

Dopo la “generazione perduta” di Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck, esuli a Parigi durante la Prima Guerra Mondiale, c’è stata la “beat generation” dei Kerouac e dei Ginsberg, poi la generazione di Ellis e McInerney: tutti accomunati da una predilezione per l’autodistruzione attraverso droghe e alcool. Adesso ecco negli Stati Uniti una nuova generazione perduta: quella dei Jerry Stahl, dei Jonathan Ames, dei Tom Robbins, dei Jeff Jackson, creatori di romanzi di spessore, ma al contempo i più abili a perdersi totalmente tra i vizi. A questa corrente appartiene Jim Knipfel (nato nel 1965), che col suo primo memoir “Slackjaw” ha commosso e scandalizzato l’America raccontando di sé stesso ragazzino alcolizzato, misantropo con una vita da punk estremo e costellata da 13 tentativi di suicidio entro i 18 anni. Il talento della sua penna, però, l’ha aiutato a superare quella fase “perduta”.

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