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Orientarsi fra le spoglie: lo smarrimento del corpo senza più vita.

Poesia, letteratura, filosofia, arte, religione: in tutti i campi dell’umano sapere la fine non è solo la nostra, che spesso è poca cosa se la si considera nel continuum in cui siamo immersi, ma anche quella della relazione tra chi sopravvive e chi se ne va. Aver avuto una buona vita, essere degni o indegni di lutto, sono tutte espressioni che nulla tolgono alla complessità dell’argomento in sé, misterioso e ingovernabile. Del corpo che, una volta abbandonata la vicenda terrestre, diventa l’ingombro per chi poi dovrà occuparsene, scrive con acuminata ossessione Caitlin Doughty, scrittrice di origine hawaiane, in un libro tanto denso quanto ironico. “Fumo negli occhi e altre avventure dal crematorio” è uno strano esperimento, a metà strada tra la cronaca, il manuale e il memoir, che restituisce quanto l’autrice, oggi poco più che trentenne, ha intrapreso all’età di 23 anni, assunta in una impresa funebre.

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