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Il superuomo è morto. Ma in compenso Dio sta benissimo.

Circondata da un iniziale sospetto (come già Nietzsche racconta ne “La gaja scienza” e in “Così parlò Zarathustra”), ha visto poi crescere il numero di quelli che ci hanno creduto. Anzi, è stata addirittura ritenuta la caratteristica della modernità: il tempo, appunto, della morte di Dio. Tanto che anche gli Stati ne presero atto, a malincuore alcuni, altri ben felici del fatto, e promossero leggi e costumi in aperta violazione delle norme delle Sacre Scritture delle diverse religioni. Si consentirono così gli aborti, la rottura del matrimonio, l’abbandono dei genitori, la violazione della natura e delle altre regole che le religioni ebraico-cristiane (ma anche la maggior parte delle altre), avevano da sempre riconosciuto come poste da Dio. Anche la filosofia, le scienze politiche, l’antropologia, la psicologia e le altre scienze umane, assieme naturalmente alla scienza delle religioni, si occuparono della morte di Dio e delle sue conseguenze nel tempo che venne così chiamato “processo di secolarizzazione”. Di esso, ad esempio, parlano il recentissimo “La secolarizzazione debole. Violenza, religione, autorità” di Marco Rizzi e “L’incognita post-secolare. Pluralismo religioso, fondamentalismi, laicità” di Paolo Naso.

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