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Fano. Cadde al cimitero tra le salme. “Il Comune paghi 600 mila euro”.

La botola del sepolcro o dell’ossario aveva ceduto sotto i suoi piedi ed era precipitato per 5 metri, con la figlia di pochi mesi in braccio, finendo tra le salme tumulate nella cripta. Solo l’intervento tempestivo di altri presenti aveva scongiurato il peggio, riuscendo a bloccare la caduta nella fossa anche della lastra di marmo della pavimentazione crollata. Un volo nel sottosuolo da cui D. B., oggi 58enne di Fano, 100 e passa chili di peso all’epoca, era riemerso con fratture alle gambe e in varie parti del corpo grazie all’aiuto dei vigili del fuoco. Era andata meglio alla bambina, protetta dall’abbraccio del padre. Ma per quell’incidente al cimitero di Rosciano del 17 febbraio 2010, la vittima (che ha avuto il 55 per cento di invalidità) ha trascinato in Tribunale, il Comune di Fano e le famiglie referenti della cappella funebre.
Aveva chiesto 1 milione e 295.450 euro di risarcimento danni per sé, la moglie e la figlia. Un conto salato che i chiamati in causa hanno provato a contestare in ogni modo anche addebitando la colpa della rottura della lastra alla stazza del 58enne. Ma, la settimana scorsa, la sentenza del giudice civile Flavia Mazzini, è arrivata a dar ragione a Davide B. (difeso dagli avvocati Franco Eusebi e Attilio Andreoni), riconoscendogli però la metà di quanto aveva preteso, e cioè circa 600mila euro(547mila 909 per lui – a cui è stato riconosciuta il 55 per cento di invalidità – 8mila per la moglie, 392 euro per la bambina) solo perché era di fatto disoccupato e dunque non aveva subìto un danno economico dalla caduta. Il Comune di Fano e i 10 titolari della concessione della cappella sono stati così condannati a mettere mano a cassa e portafogli per pagare (in solido) i danni, fisici e morali, all’uomo, alla figlia e alla moglie che assistette atterrita alla caduta. A pagare dovrà essere anche la madre della vittima.
Nelle 44 pagine della sua decisione, il giudice Fazzini ha precisato ruoli e responsabilità. Ha escluso quella dei costruttori della botola (trascinati anche loro nel giudizio), sancendo che i segni di ossidazione all’interno dei punti di rottura della pietra marmorea «non attestano vizi o difetti» di realizzazione, ma «sono segni di ossidazione presumibilmente derivanti da infiltrazioni e dalla normale usura». «La causa del cedimento – continua il giudice – della botola di accesso ai sepolcri pare rinvenibile piuttosto nelle numerose movimentazioni della stessa effettuate in occasione di tumulazioni e riesumazioni dei resti mortali». Al processo è emerso infatti che quella lastra è stata spostata e riposizionata almeno otto volte dagli operai del Comune. Chiarita anche la responsabilità del Comune, che «oltre a essere proprietario del cimitero di Rosciano – scrive Fazzini – è anche deputato alla vigilanza sulle sepolture e sepolcri privati».

fonte: ilrestodelcarlino.it

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