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Cuma, scoperta la tomba del vescovo Aurelio.

L’incisione sulla tomba è ancora chiara. Le lettere, accanto al simbolo di una croce, recitano “Ego Aurelius”. Poi, la sigla “Eps”, di “Episcopus”. Tradotto, “Io Aurelio, vescovo”.
L’iscrizione risale al sesto-settimo secolo ed è l’ultima delle tante sorprese appena restituite dall’antichissima acropoli di Cuma. Il reperto proviene infatti dalla recente campagna di scavo condotta dal Dipartimento di Lettere e beni culturali (Dilbec) dell’università Luigi Vanvitelli.
Trentadue studenti, tra archeologi e architetti, hanno lavorato sul terrazzamento più alto del sito, attorno al “settore h” del famoso tempio di Giove. Che poi di Giove non è, poi vedremo perché. Il cantiere, guidato da Carlo Rescigno, professore di Archeologia classica nell’ateneo campano, è durato poco più di un mese tra fine giugno e inizio agosto e si appena concluso.
L’equipe ha alloggiato nelle due storiche masserie limitrofe, proprietà del Parco archeologico dei Campi Flegrei. «È dal 2011 – spiega Rescigno – che abbiamo una concessione ministeriale. C’è anche un accordo col nuovo direttore del Parco, Fabio Pagano, da sempre attento alla ricerca scientifica e alla comunicazione dei risultati».
Risultati che stupiscono. Come questa sepoltura di un vescovo, in un tempio pagano. Non rappresenta una novità: ne sono state trovate numerose, negli anni. Ma racconta il fascino unico della stratigrafia archeologica. Perché Cuma, una delle più antiche colonie greche, fondata nell’ottavo secolo avanti Cristo dagli Eubei di Calcide, ha mille e più anni di storia ancora poco conosciuti: quelli del dopo Roma, del tardo-antico, del Medioevo.
Quando, una volta caduto l’assetto imperiale, la città della Sibilla perse il suo splendore, fino a diventare una rocca spopolata e, addirittura, un covo di pirati.

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