Ha la forma di un libro, ma in realtà è una bomba. Che può provocare sconquassi, visto ciò che sostiene l’autore: “La massima aspirazione, il sogno di un assassino deciso a farla franca è far passare la propria vittima come suicida anziché come assassinato. Confondere cioè le carte creando delle apparenze che depistino le indagini, anzi che le evitino. Ma, come dice il proverbio, l’apparenza inganna. E io in cinque casi di morte fatta passare per suicidio dimostro che per ognuno c’era invece una mano assassina”.
A parlare è il criminologo e docente universitario Carmelo Lavorino, attualmente impegnato come consulente di parte per gli omicidi di Serena Mollicone (giallo di Arce, consulente della famiglia Mottola accusata in blocco) e del piccolo Gabriel Feroleto(delitto di Piedimonte, consulente di Donatella Di Bona madre della vittima). E i cinque casi di morte passata artatamente per suicidio li ha sviscerati e passati al microscopio in un libro il cui titolo parla chiaro: “FIVE – Cinque omicidi camuffati da suicidi”.
In 360 pagine appassionate e appassionanti vengono esposte cinque analisi investigative che mettono a nudo impietosamente quelli che Lavorino definisce senza peli sulla lingua clamorosi errori degli inquirenti: cinque saggi di vero metodo investigativo, dove l’autore unisce, armonizza ed applica le scienze dell’analisi del comportamento, della scena del crimine, delle tracce e del modus operandi dell’assassino, della logica e dell’intelligence. Il libro verrà presentato il 16 maggio a Roma, il 23 a Viterbo, nei primi di giugno a Milano, Genova e Ascoli.
Professor Lavorino, perché ha scritto questo libro e di cosa tratta esattamente?
“Tratta di cinque casi di morte violenta di cui mi sono interessato professionalmente come consulente dei familiari delle vittime e dei loro legali. Venni incaricato per dimostrare che si trattavano di omicidi e non di suicidio, cosa che ho fatto, dimostrando scientificamente, logicamente e in chiave criminalistica, criminologica, investigativa e d’intellegence che; 1) sono omicidi e non suicidi come invece hanno ritenuto gli inquirenti; 2) giustizia non è stata fatta; 3) esistono precise piste da battere e “bucce mai sbucciate da sbucciare”; 4) vi sono cinque colpevoli in libertà e non puniti,; 5) vi sono cinque errori investigativi da correggere.