Il libro è la storia di quelli che potevano essere gli ultimi due mesi di vita di Velia Deschi, ma non lo sono stati. Velia lavora come tanatoprattrice nell’obitorio di un ospedale della sua città e lo fa con estrema dedizione. Ricomporre e vestire i cadaveri la riempie di gioia. Dare dignità ai corpi esanimi, prepararli alle cerimonie dei loro funerali le dà una gran soddisfazione anche se sa che li veglieranno per poche ore e che poi il coperchio delle bare oscurerà per sempre il suo prezioso intervento. In alcuni momenti si sente come una consacrata alla settima opera di misericordia corporale. Il suo impegno è tale che instaura con ognuno dei suoi “morti” un rapporto speciale, sembra quasi che loro le parlino. Una mattina d’estate, dopo essere arrivata in ospedale già con un leggero ritardo si ritrova inspiegabilmente a indugiare ulteriormente alla finestra del suo spogliatoio. Lei, che di solito è così lesta nel preparare tutto il materiale sul carrello, si mette invece a guardare la gente addolorata che arriva sul piazzale sottostante, a osservarla come imbambolata. Solo quando, finalmente scesa di sotto, inizia a maneggiare delicatamente le salme, capisce di avere la febbre. Si sforza comunque di procedere con cura su ogni cadavere, di non trascurare nessuno, di adoperarsi con dovizia su ciascuno di essi. Il malessere però peggiora, fino a farla svenire sul corpo di quella che doveva essere l’ultima salma della giornata, e che un attimo prima del malore le si rivela come Massimo, l’uomo da cui si è allontanata da poco tempo. Velia, incosciente, sogna di essere prima sul piano superiore di un tram a due piani, con tutti i morti che aveva appena ricomposto quella mattina. In un’esperienza extracorporea li rincontrerà tutti e insieme faranno un insolito viaggio. Sarà affascinante accompagnarla in questo strano percorso…