Qualche mese fa il Sun ha dichiarato che Facebook “supera il più grande cimitero del mondo, Wadi-us-Salaam in Iraq, luogo di riposo di appena cinque milioni di persone”. La dichiarazione teneva conto di un censimento reale: quello dei “morti digitali”, ovvero gli utenti Facebook di cui, post mortem, sopravvive il profilo come una lapide virtuale. Ma la lapide Facebook, al contrario della sua tradizionale controparte granitica, è in costante mutamento: continua a contare visite, a riempirsi di frasi affettuose e di emoji a forma di cuori sgargianti da parte di amici e familiari che al contrario dei tradizionali fiori cimiteriali non perdono forma e colore a causa dell’incuria, del fisiologico ritorno alla vita di chi subisce il lutto. Non solo. Il parente del defunto, sempre che quest’ultimo abbia dato il consenso a quest’operazione, detta “memorialization”, continua spesso ad amministrarne la pagina Facebook, ringraziando gli amici della vicinanza, appropriandosi di quello spazio affettivo che esisteva tra il morto e i suoi cari come fosse il suo.