A Genova sono andate a ruba le diecimila magliette, messe in vendita in ricordo del crollo del Ponte Morandi e delle 43 vittime. Non è solo solidarietà. È qualcosa di più. È voglia di simboli, di partecipazione e di identificazione rispetto ad un evento che ha coinvolto trasversalmente tutta la città. Senza distinzioni sociali o politiche. Con una carica emozionale ed insieme civile che ha trovato la sua consacrazione nel minuto di silenzio, esattamente un mese dopo l’ora del crollo, e poi nella grande cerimonia di piazza. Sono state ricordate, nome per nome, le vittime. È stato reso onore a quanti hanno lavorato nelle difficili operazioni di salvataggio dei superstiti e di recupero delle salme. Monsignor Nicolò Anselmi, Vescovo Ausiliare di Genova, ha recitato l’Ave Maria, ricordando la Madonna della Guardia, protettrice della città, il cui Santuario sorge su una collina prospiciente il Ponte Morandi. Le persone, in piazza, hanno pregato. E poi hanno applaudito i rappresentanti delle istituzioni, dal Sindaco Bucci al Presidente della Regione Toti, al presidente del Consiglio Conte. Nessun fischio. Nessuna contestazione, piuttosto una orgogliosa unità d’intenti che ha dato un valore tutto speciale alla rievocazione.
Dicevamo dei simboli: una maglietta può diventarlo, con l’immagine del ponte spezzato ed un grande cuore ad unire i due tronconi e poi la bandiera crociata della città issata dai vigili del fuoco su uno dei monconi del Morandi. Allo stesso modo assume un valore esemplare la pietà collettiva, il condividere dolori e lutti. Simboli materiali ed immateriali, che debbono fare riflettere, particolarmente in una città che sulle date, spesso divisive, ha giocato i suoi destini recenti e le sue aspettative: la Genova del discusso 25 aprile, macchiato dalla sanguinosa caccia al fascista e al nemico di classe da eliminare, e poi dai fatti del giugno ’60, sbandierati come un grande appuntamento “democratico”, laddove invece mascheravano, nel rifiuto del congresso missino, bassi interessi politici e una palese volontà discriminatoria; ed ancora gli “anni di piombo”, ambigui nella fase iniziale, fino all’assassinio, da parte delle Brigate Rosse, dell’operaio Guido Rossa, per arrivare ai giorni del G8 del 2001, con il loro strascico di sangue e di polemiche.
La Storia di Genova è stata fino al 14 agosto di quest’anno, data del crollo del Ponte Morandi, tutto questo. Città dalle forti passioni ideologiche e città divisa e divisiva. Ora l’abbraccio doloroso dei suoi cittadini fa girare pagina. Non tanto proponendo una nuova data da ricordare, quanto soprattutto rendendo palese una nuova struggente volontà di condivisione civile ed umana, che va ben oltre i piccoli interessi e le appartenenze particolari. Da questo punto di vista Genova può diventare l’esempio di un’aspettativa nuova che, partendo dalle singole coscienze, si fa fenomeno civile condiviso. Nel Dolore e nella Speranza. Ritrovando una comunione d’intenti che va evidentemente ben oltre le opere materiali, pur necessarie, e che chiede alla Politica di rappresentarla, simbolicamente e nei fatti. A Genova e non solo. L’augurio è che questa aspettativa, spirituale e materiale, non venga tradita.
Mario Bozzi Sentieri