Cosa accade ai profili Facebook dei defunti? E perché su certe tombe si trovano QR Code? Davide Sisto indaga le ritualizzazioni della morte ai tempi delle nuove tecnologie.
Se c’è qualcosa di privato e disconnesso dallo schiamazzo che online ci assorda quotidianamente, è il rito di ritrovarsi attorno a una persona che non c’è è più e condividerne la memoria, magari in silenzio. Eppure internet entra in campo anche qui, dispiega i suoi mezzi di comunicazione, le sue varie possibilità per celebrare la memoria dell’estinto, una memoria che – lo sappiamo bene – da qualche anno non appartiene più solo a parenti e amici, ma essendo digitale, è un patrimonio comune e universalmente accessibile della grande rete. La morte, e i vari modi di trattarla attraverso le nuove tecnologie, sono oggetto d’indagine del saggio La morte si fa social – Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale (Bollati Boringhieri, 16,50 euro) di Davide Sisto, filosofo e assegnista di ricerca in Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino.
Esaminando il tema dell’elaborazione del lutto, Sisto sostiene che significativi sforzi in questo senso sono stati fatti dai social network.
“Prendiamo Facebook, dà la possibilità di scegliere un ‘contatto erede’ che gestisca foto e informazioni di chi non c’è più. Oppure di pianificare la propria ‘cremazione digitale’ chiedendo a priori l’eliminazione dell’account in case di morte”.
A proposito di elaborazione, com’è cambiata la memoria con internet?
“Forse, l’aspetto più rilevante è che internet rende difficile, se non impossibile, dimenticare. Tutto ciò che viene registrato online lascia una traccia indelebile – visiva – che difficilmente sparisce in modo definitivo nel corso del tempo.
fonte: wired.it