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Cent’anni del “Golem” portati splendidamente tra i capolavori salvati da dispersione e oblio.

Gustav Mahler diceva che della tradizione occorre custodire il fuoco, non le ceneri. Se applichiamo questo saggio aforisma al cinema, è evidente quanto sia preziosa la politica delle riscoperte e dei restauri di cui Alberto Barbera, con la collaborazione di Stefano Francia di Celle, ha ormai fatto da anni un pilastro nella propria direzione: come del resto attestato dall’affollatissima preinaugurazione con “Der Golem, wie er in die Welt kam”, capolavoro dell’espressionismo tedesco, di e con Paul Wegener, tratto dal romanzo di un altro Gustav mitteleuropeo, Meyrink, viennese, pubblicato nel 1914.
Questa colossale favola fantastica ambientata nella Praga ebraica del ‘500, di cui esistevano altre due versioni perdute, è datata 1920 e ci dice quindi che oggi ci troviamo dinanzi a indiscussi capolavori della settima arte già vecchi di un secolo. Di qui la necessità impellente di investire sempre più nella conservazione e nel ripristino, oltre che nella diffusione, di opere altrimenti destinate all’oblio e alla dispersione: e gli esiti sfavillanti dello spettacolare quanto complicato restauro del Golem, proiettato con l’accompagnamento live di una colonna sonora d’avanguardia appositamente composta da Admir Shkurtaj e cui hanno concorso Cinemathèque Royale del Belgio, Cineteca italiana di Milano e numerosi altri soggetti, lo dimostra.

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