La morte fa paura. Non se ne parla, si cerca di allontanarne il pensiero quando ci capita di sfiorarlo. Non si ha nemmeno il coraggio di dirlo al morente, privandolo così del diritto di sapere il suo destino, di prepararsi al commiato, di predisporre pensieri e beni, perdoni e confessioni. Strana involuzione, giacché nel passato (almeno fino alla prima metà del XIX secolo) la morte era questione addirittura pubblica, si moriva nel proprio letto, con i familiari, gli amici; nella sfera contadina si chiamavano addirittura le prefiche, donne “che, per denaro, ripetevano, sopra il defunto, i loro lamenti ritmati”. Come mai la società moderna la nega? E come si è passati dalla morte in casa alla morte in ospedale, “sedati e intubati, lontani dai propri cari, in solitudine e in silenzio?”. Il rapporto medico/paziente, la critica dei medici “palliativisti” ai medici che venivano accusati “di occuparsi più della malattia che del malato e di essere poco sensibili alle esigenze del fine vita”. L’importanza delle “cure palliative”, la nascita e la diffusione. La creazione degli “hospice” o delle RSA.