Nel 1976 in una piccola comunità del New Jersey, dopo uno sciagurato cocktail di Valium e alcolici assunti nel corso di una festa, una giovane ragazza viene trovata priva di sensi e di segni vitali. Nonostante i soccorsi immediati, Karen Ann Quinlan, rimasta per molti minuti senza respirare, riporta gravi danni cerebrali. Si salva, ma da quel momento potrà vivere solo grazie alle macchine a cui viene attaccata. Sono queste a consentire che respiri e sono queste a idratarla e ad alimentarla. Dopo molti mesi trascorsi in stato vegetativo, i genitori si rendono conto che non ci sono speranze di una ripresa e giudicano che la situazione di Karen sia solo fonte di sofferenze crescenti. Staccarla dalle macchine e consentirle una morte dignitosa sembra allora ai due l’unica cosa giusta da fare. Ma il timore di un’azione legale, per giunta con l’accusa di omicidio, spinge i dirigenti dell’ospedale a richiedere ai genitori un’autorizzazione legale per poter staccare le macchine. Ne nasce una controversia che coinvolge la Corte Suprema del New Jersey. Con una decisione epocale, che di fatto innesca una svolta i cui effetti perdurano fino a noi, il tribunale autorizza il padre a prendere la decisione di interrompere qualsiasi forma di sostegno vitale alla figlia. (Per la cronaca, Karen continuerà a vivere ancora per ben nove anni dopo essere stata staccata dal respiratore). Ad alcuni questo episodio farà subito venire in mente i casi molto recenti che hanno coinvolto due bambini inglesi, riempiendo le pagine dei giornali e suscitando discussioni decisamente accese: Charlie Gard e Alfie Evans. Due casi che, con quello ormai lontano di Karen Quillan, hanno evidenti somiglianze.