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Decifrate le lettere di un deportato ad Auschwitz: “Portavo gli altri a morire dicendo loro la verità”.

Come potrei temere la morte dopo tutto quello che ho visto qui?“. Nelle sue lettere dall’inferno in terra, il campo di concentramento di Auschwitz, Marcel Nadjari racconta. Lui, un ebreo greco, si trovava nel lager come deportato, insieme ai genitori e alla sorella Nelli, che morirono poco dopo il loro ingresso. I suoi testi, per oltre 70 anni, non li ha mai letti nessuno. Tredici fogli strappati da una quaderno, scritti nell’urgenza di raccontare l’orrore che stava vivendo e di cui era stato costretto a diventare anche parte attiva. I nazisti lo mettono nel Sonderkommando, quel gruppo di prigionieri che gestiscono lo “smaltimento” dei deportati nelle camere a gas. Un compito terribile: accompagnarli alla morte, poi spostare i corpi, tagliare i capelli, raccogliere i denti d’oro e infine bruciare i resti. La parte peggiore è la prima, quando i prigionieri destinati alla soluzione finale gli chiedono dove stiano andando e cosa accada in quei fabbricati. “Alle persone il cui destino era segnato ho detto la verità“. Una volta nudi i prigionieri andavano nella camera della morte, con le finte docce da cui usciva il gas. “Sono stati costretti ad entrare a frustate e poi sono state chiuse le porte“.

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