È morto in ospedale il boss mafioso Salvatore Profeta, capo della famiglia di Santa Maria di Gesù, uno dei più influenti clan del palermitano. Aveva 73 anni. Profeta si trovava in carcere a Tolmezzo, in provincia di Udine, dove stava scontando una pena di 8 anni e due mesi per associazione mafiosa, estorsione e rapina. Dieci giorni fa il ricovero in ospedale. A stroncarlo sarebbe stato un infarto. Il boss del quartiere Guadagna di Palermo era stato arrestato tre anni fa dopo che nel 2011 era stato rimesso in libertà perché ritenuto non responsabile della strage di via D’Amelio dove persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. I diversi processi avevano ritenuto false e strumentali le accuse che gli venivano rivolte dal pentito Vincenzo Scarantino e la condanna all’ergastolo, che inizialmente i pm avevano chiesto inizialmente per lui, fu annullata. Ma Salvatore Profeta un boss lo era eccome. L’ex procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, aveva detto di lui: “Profeta non solo era il boss riconosciuto, ma si atteggiava anche come tale”. Quando venne arrestato, centinaia di persone, tra parenti e residenti del suo quartiere, scesero per strada per baciarlo e abbracciarlo, al punto che le forze dell’ordine ebbero difficoltà a gestire l’operazione. Profeta era uno degli uomini più vicini al capomafia Stefano Bontade che fu assassinato nel 1981 durante la guerra con il clan dei “corleonesi” di Totò Riina. Nel suo quartiere tutti si affidavano a lui per ricevere aiuti e favori di ogni genere. Il bar nella piazza principale era diventato un vero e proprio ufficio dal quale Profeta tesseva la sua ragnatela di legami e rafforzava il controllo sul territorio. I metodi di reclutamento di cui si avvaleva erano ancora quelli tradizionali: riti antichi che si pensavano fossero stati accantonati ormai da tempo. E invece erano ancora in uso per sancire gerarchie e per stabilire ruoli.