Ci sono gesti per un padre che hanno un senso profondo nelle tappe della vita. Come quando si torna a casa dall’ospedale dopo la nascita di un figlio, strapazzati di gioia, e un po’ impacciati si mette la culla nell’auto, che non sta mai nella posizione che vorresti, perché lì dentro c’è l’essere più fragile al mondo. Ci sono gli abbracci nelle notti insonni, a scacciare fantasmi dispettosi che aspettano sempre il buio per spaventare. E poi tutti gli altri abbracci che durano un attimo e vorresti non finissero mai. Il gesto di papà Giulio, ieri sera, all’uscita del cimitero Monumentale di Torino, è uno di quelli che spezza le regole della vita. È un abbraccio che sgomenta, mentre sale sull’auto del Comune, stringendo tra le mani il cofanetto di legno con dentro le ceneri della figlia Erika, morta a 38 anni, dopo dodici giorni di agonia in ospedale. Travolta e schiacciata contro un muro dalla gente in fuga, nella notte terribile di piazza San Carlo, mentre era in compagnia del fidanzato, tifoso juventino. Entrambi ossolani, erano venuti a Torino per seguire la finale di Champions.