È il primo pomeriggio del 27 gennaio 1945: una Divisione fucilieri della 60esima Armata rossa avanza verso il campo nazista di Auschwitz-Birkenau. Tra i soldati, reduci dalle tremende battaglie di Stalingrado e Kursk, c’è un 21enne di origine ebraica nato a Danzica, David Dushman. È a bordo del leggendario T-34 sovietico che ha sbaragliato le difese naziste: punta la rete di recinzione elettrificata che circonda il campo e la abbatte, aprendo la strada ai suoi compagni. I sovietici, interdetti dall’assenza di nazisti, si ritrovano circondati dai prigionieri, che li abbracciano, li baciano, si buttano ai loro piedi in lacrime. Sono emaciati, malati, sembrano fantasmi. “Scheletri ovunque, uscirono dalle baracche e si misero seduti accanto ai morti. È stato terribile“, ricordava qualche anno fa Dushman, morto a 98 anni a Monaco, in Germania. Era l’ultimo sopravvissuto di quei soldati che liberarono Auschwitz.