Era chiamata la sarta della Resistenza perché il suo laboratorio di sartoria era diventato una base per l’attività antifascista e anti-nazista. Lei e le altre avevano dato rifugio ai partigiani braccati, ai renitenti alla leva dopo l’8 settembre, avevano fatto da staffetta, portando messaggi tra i componenti delle brigate. Fino all’ultimo ha cucinato per figlie e nipoti e si arrabbiava anche se non mangiavano. Lei si chiamava Emma Fighetti e se ne è andata a 108 anni, portando con sé un pezzo fondamentale di storia.
Era una donna incredibile Emma: nata nel 1911 a Premeno (Verbano-Cusio-Ossola), sul Lago Maggiore, si era trasferita a Milano per seguire il marito, operaio, che aderì anch’egli alla Resistenza ma senza sapere dell’attività della moglie: «Lui non sapeva cosa facevo io e viceversa, così doveva essere» amava ripetere. «Preparavo la colla con acqua e farina – racconta nelle varie interviste – e la distribuivo ai ragazzini che dovevano affiggere sui muri i volantini contro i fascisti. In tanti sono sfuggiti alla cattura passando attraverso il solaio di casa mia. Erano giovani che non volevano essere reclutati nell’esercito o partigiani braccati. Ero una sovversiva… Un paio di volte ho rischiato di essere arrestata e allora sì che ho avuto paura, ma solo un po’»