Fu spedito di corsa in una Palermo ancora in lacrime. Una città avvilita, depressa, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Fine luglio 1992. Il peggior periodo che un palermitano ricordi. Ma l’avventura del questore Matteo Cinque, campano, reduce dalle esperienze a Napoli e Trapani, durò neppure un anno. Adesso Cinque non c’è più. È morto, a 74 anni, lasciando affranti quanti lo hanno conosciuto, i suoi ex colleghi e la sua famiglia. Dirigente della polizia di Stato, non fu solo questore di Palermo. Tra gli incarichi rivestiti anche quello di responsabile di diversi reparti anche al di fuori della Campania. Prima di essere promosso questore, era stato capo della Digos di Livorno, poi dei commissariati di polizia di Termoli, Castellammare di Stabia, Torre del Greco. Era tornato a vivere a Vico Equense dopo la pensione, ma la sua è stata una carriera fulgida. Rivestì ruoli di comando in luoghi e momenti strategici. Fu dirigente della Squadra Mobile di Napoli, dell’allora Criminalpol e, una volta promosso questore, fu responsabile delle Questure di Trapani, Salerno e infine Palermo, nel miglior momento della carriera. Un’avventura durata appena dieci mesi. Lasciò Palermo dopo essere stato travolto dalle pesanti dichiarazioni del pentito napoletano, Galasso, che lo accusava di collusioni con la camorra. Matteo Cinque era nipote e figlio di poliziotti e in quei giorni palermitani anche padre di un giovane agente, Nicola di 20 anni pure lui in polizia a Palermo. Di Cinque restano scolpite nella memoria le sue frasi pronunciate nel maggio ’93 subito dopo aver presentato domanda per lasciare Palermo. Sì, dimissioni. “Il questore di Palermo deve essere al di sopra di ogni sospetto. Ho profonda fiducia e rispetto nella magistratura ed è giusto che me ne vada“, disse, andandosene a sorpresa. Una specie di umiliazione. Era arrivato a Palermo dopo le stragi, sostituendo il collega Vito Plantone, a sua volta questore a Palermo per 11 terribili mesi e trasferito in seguito. Guerre tra cosche mafiose e veleni: Matteo Cinque era arrivato nel capoluogo siciliano per fronteggiare l’emergenza Palermo, ma la sua carriera, in costante ascesa, trovò una brusca frenata tra pesanti accuse e roventi polemiche. Con quell’amara frase prima di salutare tutti e andarsene in pensione, periodo trascorso interamente nella sua casa di Vico Equense, dove ha vissuto fino a pochi giorni fa. “Una vita di lavoro gettata al vento“, furono le sue ultime parole palermitane prima di ritirarsi per sempre.