Roelof Frederik Botha, ministro degli Esteri razzista per 17 anni, era considerato riformista durante gli anni dell’apartheid. Il Sudafrica bianco era bandito, e “Pik”, soprannome afrikaans per “pinguino” dovuto all’incedere, cercava alleanze all’estero. Il suo capo, un altro Botha, il Grande Coccodrillo, era a dir poco conservatore. Morto venerdì a Pretoria, 86 anni, era considerato “uomo giusto in un governo orribile”; eppure fu lui a cercare di diluire l’inevitabile vittoria di Nelson Mandela, uscito del 1990 dopo 27 anni di carcere. Era anche convinto, però, che bisognava sedersi al tavolo per trovare la soluzione e nell’86 aveva predetto “i neri al governo a condizione di una protezione dei diritti della minoranza bianca”. Allora forse pensava più a figuri come Mangoshutu Buthelezi, malleabile leader zulu che, invece di essere in prigione, con il governo bianco faceva affari. Angola e Namibia sono state il fiore all’occhiello di Botha. Con Mandela fu ministro delle Risorse per due anni, poi si chiuse a vita privata. Ha sempre smentito l’iscrizione all’African National Congress, ma aveva dato il suo appoggio all’avvento di Cyril Ramaphosa come capo dello Stato. L’aveva conosciuto negli anni 90, e anche Ramaphosa era altrettanto abile quando si doveva trattare. Parlavano la stessa lingua, non era cosa da poco. “In Sudafrica un governo può andare avanti soltanto con neri e bianchi insieme. A me viene in mente la zebra: se si spara, che io sia bianco o nero, in ogni caso muoio. È tutto qui”.