Avrebbe compiuto 70 anni tra pochi giorni, Beppe Rinaldi, “Citrico” per tutti, l’anima anarchica, l’intellettuale del Barolo. È mancato nella sua bella casa-cantina, appena fuori Barolo, ucciso dalla solita lunga, per lui nemmeno troppo, malattia. Brunate, Le Coste, Cannubi-San Lorenzo, Ravera i suoi vigneti più famosi. Un grande artigiano, erede di una cantina le cui origini risalgono addirittura ai primi dell’800 quando il trisavolo, Battista Rinaldi, era coltivatore di alcune vigne del Feudo dei Marchesi Falletti di Barolo. Anima libera e critica, “Citrico” – così soprannominato per la sua indole franca e schietta che ispirava certi suoi giudizi taglienti, mai accomodanti – era un grande produttore che non aveva mai tradito la tradizione del grande vino di Langa e le cui bottiglie erano ricercate dagli appassionati di tutto il mondo. Ma anche un uomo colto, di una cultura mai esibita, anzi quasi nascosta, ma che trapelava da ogni parola oltre che dai suoi vini. E difensore strenuo delle sue colline. Proprio negli ultimi mesi era stato lui ad aprire una polemica dai toni anche aspri sugli eccessi produttivi e turistici della Langhe. Sulla degenerazione “speculativa” di un mondo in cui ormai le vigne valgono oltre 2 milioni di euro a ettaro e il valore di una bottiglia sui mercati internazionali raggiunge ormai cifre che sfiorano e superano i mille euro. Saranno la moglie Annalisa e le figlie Marta e Carlotta a portare avanti le sue idee. E la sua eredità culturale.