Della scomparsa di Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, si è detto tutto: della sua carriera sportiva, di quanto era un gigante buono, della sua storia artistica che, come spesso accade quando l’uomo scompare e l’immagine resta, ci si accorge di aver sottovalutato. Questo è il parere della critica, non della voce popolare. Bud Spencer rimane tuttora un mito per i bambini e sorprendentemente una icona italiana per i nuovi arrivati nel nostro Paese. Sembra proprio che rumeni ed albanesi, oggi stupiti che fosse italiano poiché, per un’incomprensione un po’ naif, lo ritenevano americano, non si lasciano scappare alcuna sua apparizione, ancor più quando fa coppia con il compagno di sempre, quel Terence Hill, alias Mario Girotti, mezzo nostrano pure lui, con il quale ha strappato sorrisi con il più semplice linguaggio del mondo: quello della coppia di clown presi in prestito dal cinema sin dai suoi primordi. Tanto per restare con i ricordi a livello popolare, rammento che, quand’ero un monello di periferia, ero snello, svelto e biondo, mentre il mio amico più caro, era robusto e più tranquillo, ma ci sapeva fare. Lascio alla fantasia di chi legge quali erano i soprannomi che ci eravamo guadagnati in qualche modesta disputa tra i confini del quartiere. Bud Spencer manca davvero nel panorama non soltanto artistico di questo Paese sempre più confuso. Quella coppia era un punto fisso di un momento italico più sereno, allegro, produttivo e razionale. Ora ne rimane solo uno, ma l’eredità che lascia il cinema sovente è un faro attraverso cui poterci rispecchiare, illuminare e ritornare a splendere. Ora il gigante tranquillo che non sopportava la gente irriverente sarà già al cospetto di ben altri scenari. E se è pur vero che “gli angeli non mangiano fagioli”, si spera che vi sia qualcos’altro per sfamare un appetito importante; altrimenti verrà a mancare l’ispirazione per qualche gag da proiettare tra le stelle e sarebbe un peccato. Difficilmente il grande Bud potrà accontentarsi di un semplice caffè …
Carlo Mariano Sartoris