Il 25 novembre 2005 si spense George Best, una delle figure più affascinanti e controverse della storia del calcio.
Pallone d’Oro a soli 22 anni, “il quinto Beatle” fu un’icona non solo per il suo talento sul campo, ma anche per il suo stile di vita fuori dagli schemi. Un genio del pallone, capace di incantare milioni di tifosi, ma anche un uomo segnato dagli eccessi che ne hanno consumato il fisico e l’anima.
Il golden boy del calcio
Nato il 22 maggio 1946 a Belfast, in Irlanda del Nord, George Best dimostrò fin da giovane un talento straordinario. Scoperto a soli 15 anni da un osservatore del Manchester United, si unì alla squadra che avrebbe segnato la sua ascesa nel pantheon del calcio. Con i Red Devils, Best giocò 466 partite, segnando 178 gol e regalando momenti indimenticabili ai tifosi di tutto il mondo.
Nel 1968, guidò il Manchester United alla vittoria della Coppa dei Campioni, contribuendo con una prestazione leggendaria nella finale contro il Benfica. Quello stesso anno, fu insignito del Pallone d’Oro, consacrandosi come uno dei più grandi calciatori del suo tempo.
Il “quinto Beatle”
Best non era solo un fenomeno sul campo; era anche un’icona culturale. Con il suo stile e il suo fascino, divenne noto come “il quinto Beatle”, simbolo di una generazione che cercava libertà, glamour e ribellione. La sua vita privata, fatta di champagne, automobili di lusso e feste sfrenate, lo rese una celebrità anche oltre il mondo dello sport.
Tuttavia, quel mix di talento e sregolatezza era un’arma a doppio taglio. Mentre incantava il mondo con la sua magia sul campo, gli eccessi iniziavano a minare la sua carriera e la sua salute.
Il declino
A soli 26 anni, George Best lasciò il calcio professionistico. Una decisione precoce, causata da un progressivo deterioramento del rapporto con il Manchester United e dai suoi problemi personali. Nonostante alcuni tentativi di ritorno al gioco in club minori, il Best che il mondo conosceva non sarebbe mai più tornato.
La sua vita, da quel momento, fu un continuo altalenare tra tentativi di redenzione e ricadute negli eccessi. L’alcolismo divenne il suo demone più grande, portandolo a una serie di episodi pubblici che culminarono in una condanna a tre mesi di carcere per guida in stato di ebbrezza.
L’ultimo monito
Negli ultimi anni della sua vita, Best fu costretto ad affrontare le conseguenze devastanti del suo stile di vita. Nel 2002, subì un trapianto di fegato a causa dei danni provocati dall’alcol, ma non riuscì mai a liberarsi completamente dalle sue dipendenze.
Pochi giorni prima della sua morte, George Best fece pubblicare una foto dal letto di ospedale, sofferente e ormai consumato dalla malattia. Con un gesto di estrema lucidità e umanità, accompagnò l’immagine con un monito che avrebbe segnato il suo epitaffio: “Non morite come me”. Un messaggio diretto, rivolto a chiunque fosse tentato di percorrere la strada degli eccessi.
George Best se ne andò a 59 anni, lasciando un’eredità complessa e controversa. Sul campo, rimane uno dei più grandi talenti che il calcio abbia mai conosciuto. Fu un genio del dribbling, della velocità e della creatività, capace di trasformare ogni partita in uno spettacolo. Fu un pioniere, un calciatore che visse da rockstar, anticipando il legame tra sport e cultura popolare.
Fu, però, anche un uomo fragile, vittima dei propri demoni e di un sistema che, ai tempi, non sapeva come supportare i suoi atleti più vulnerabili. La sua storia è un racconto di gloria e caduta, un monito per le generazioni future sul prezzo del successo e sugli effetti devastanti degli eccessi.
Il ricordo di una leggenda
A quasi vent’anni dalla sua morte, George Best continua a essere ricordato come una delle figure più iconiche dello sport. Per i tifosi del Manchester United, è il simbolo di un’epoca irripetibile. Per i giovani calciatori, è un esempio di talento ineguagliabile e una lezione sul valore della disciplina e del rispetto per se stessi.
Come disse una volta Eric Cantona, un altro grande del Manchester United: “George Best era il calcio”. E in quelle parole si racchiude l’essenza di un uomo che, nonostante tutto, ha lasciato un segno indelebile nella storia.