Ricorre oggi l’ anniversario della scomparsa del grande drammaturgo, poeta e scrittore Vittorio Alfieri.
Considerato il maggiore poeta tragico del Settecento italiano, Alfieri ebbe una vita piuttosto avventurosa, diretta conseguenza del suo carattere tormentato che lo rese, in qualche modo, precursore delle inquietudini romantiche. Rimasto orfano di padre a meno di un anno, a nove anni entrò nella Reale Accademia di Torino, ma, insofferente della rigida disciplina militare, ne uscì nel 1766 (nell’autobiografia ne parlerà come di anni di “ingabbiamento” e di “ineducazione”).
Il suo talento drammaturgico andava così finalmente delineandosi. Nel 1775 riuscì a far rappresentare la sua prima tragedia, “Cleopatra”, che gli procurò un discreto successo e che gli aprì le porte dei teatri italiani, confermandolo nella sua vocazione. Basti pensare che negli anni successivi arrivò a scrivere qualcosa come venti tragedie, fra cui, per citarne alcune, “Filippo”, “Polinice”, “Antigone”, “Virginia”, “Agamennone”, “Oreste”, “La congiura de’ Pazzi”, “Don Garzia”, “Maria Stuarda”, “Rosmunda”, “Alceste seconda”, oltre all’”Abele”, da lui stesso definito “tramelogedia”, cioè “tragedia mista di melodia e di mirabile”.
Tra il 1775 e il 1790, fuggendo ogni distrazione mondana, si diede a un lavoro tenacissimo: tradusse numerosi testi latini, lesse accanitamente i classici italiani da Dante a Tasso, s’impegnò nello studio della grammatica, mirando a impadronirsi dei modi toscani.
Nel 1778, non sopportando di esser legato a un monarca da vincoli di sudditanza, lasciò alla sorella tutti i propri beni e, riservata per sé una pensione vitalizia, abbandonò il Piemonte e andò a vivere in Toscana, a Siena e a Firenze; fu anche a Roma (1781-83), e successivamente seguì in Alsazia (a Colmar) e a Parigi Luisa Stolberg contessa d’Albany, da lui conosciuta nel 1777, la quale, separatasi dal marito Carlo Edoardo Stuart (pretendente al trono d’Inghilterra), divenne la compagna della sua vita e la dedicataria della maggior parte delle “Rime”.
Egli ripercorse il suo cammino formativo in un’autobiografia intitolata Vita che cominciò a scrivere intorno al 1790 (l’autobiografia era un genere di moda nel diciassettesimo secolo, valgano gli esempi delle “Mémoires” di Goldoni o delle “Memorie” del Casanova), anche se quest’opera non va considerata come una “riscrittura” a posteriori delle propria esperienza esistenziale, dove quindi la realtà viene a volte forzata per conformarsi al pensiero dell’Alfieri ormai poeta maturo. Tornato a Firenze, dedica gli ultimi anni della sua vita alla composizione delle “Satire”, di sei commedie, della seconda parte della “Vita” e di traduzioni dal latino e dal greco. Nel 1803, a soli 54 anni, muore a Firenze il giorno 8 ottobre, assistito da Luisa Stolberg. La salma si trova nella chiesa di Santa Croce a Firenze.
fonte: www.libreriamo.it