Cinquant’anni fa Genova fu colpita dalla più grave alluvione della sua storia, tanto da essere diventata, nei discorsi della gente e nelle rievocazioni, “l’alluvione di Genova” e basta, senza che ci sia bisogno di precisare nemmeno l’anno. Una tragedia in due tempi, il primo dei quali si consumò dal tardo pomeriggio alla prima serata di mercoledì 7 ottobre 1970 a Voltri, la delegazione più a Ponente, poiché da ovest arrivò quel che di fatto si sarebbe poi dimostrato un ciclone di tipo tropicale. Il Leira sfondò argini e muri, piombò nelle strade, nelle case, nei negozi. Trascinò persone e auto in mare, seminò morte e distruzione. Fu la notte del panico, del buio totale, dell’attesa di soccorsi che frane e ponti crollati rendevano problematici.
Attorno a mezzanotte, il nubifragio arrivò in val Polcevera, dove per fortuna non fece morti, ma allagò interi quartieri. L’indomani, mentre il Ponente tentava i primi bilanci e cominciava a spalare il fango, il tragico copione andò in replica sul bacino del Bisagno. Che ruppe, straripò, impattò con inaudita violenza nell’imbuto della copertura di Sant’Agata e delle arcate ferroviarie, portando l’apocalisse da Marassi alla Foce.
Dall’enorme pioggia non si salvò il centro storico sovrastante Caricamento. La ferita alla città, lo si percepì immediatamente, fu di quelle destinate a radicarsi per sempre nella memoria collettiva. Col pianto per i morti, le polemiche su cause e responsabilità, ma anche col conforto per gli infiniti gesti di eroismo e di altruismo e per la sorprendente, splendida risposta che in quei giorni seppero dare i ragazzi di Genova.
Da loro, infaticabili spalatori come lo erano stati i loro coetanei fiorentini quattro anni prima, venne la spinta morale a ripartire. E una lezione non retorica di solidarietà.
fonte: www.ilsecoloxix.it