Le masche sono figure enigmatiche e affascinanti del folklore piemontese.
Rappresentano un aspetto profondo e radicato della cultura popolare del Piemonte.
Queste donne, spesso descritte come anziane, brutte e isolate, erano temute e rispettate.
Si credeva possedessero poteri magici, come la capacità di compiere sortilegi malefici, trasformarsi in animali e separare l’anima dal corpo per volare nello spazio.
Non si può parlare delle masche senza ricordare il contesto storico.
Tra il 1450 e il 1750, l’accusa di stregoneria poteva condurre al rogo.
Migliaia di donne furono condannate in tutta Europa.
Le cifre variano, con stime che parlano di 35.000 fino a 100.000 vittime.
Molti documenti di quei processi sono andati persi o distrutti, spesso volutamente.
La Rivoluzione Francese, infatti, cercò di spazzare via l’oscurantismo dell’Antico Regime.
La persecuzione delle streghe ebbe un impulso decisivo con la bolla *Summis desiderantes affectibus*.
Papa Innocenzo VIII la emanò nel 1484.
I tribunali dell’Inquisizione cattolica, ma anche quelli della chiesa riformata luterana, condannarono a morte migliaia di donne innocenti.
Queste donne, spesso levatrici, prostitute o guaritrici, venivano considerate streghe e punite severamente.
Le masche erano viste come portatrici di male.
Erano capaci di infliggere danni tramite incantesimi.
Ma, allo stesso tempo, potevano anche essere salvatrici.
Proteggevano i confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti, dimostrando che la loro esistenza non era solo maligna.
La tradizione piemontese le dipingeva come dispettose e vendicative, ma non essenzialmente malvagie.
I loro poteri venivano tramandati di generazione in generazione.
Facevano parte di un patrimonio culturale che resisteva alla demonizzazione ufficiale.
L’etimologia del termine “masca” è incerta.
Questa incertezza contribuisce al fascino di queste figure.
Alcuni studiosi suggeriscono un’origine longobarda, associata all’anima di un defunto.
Altri indicano una derivazione dal provenzale “mascar,” che significa borbottare, o dall’arabo “masakha,” che si traduce in trasformare in animale.
Le masche erano spesso rappresentate sotto forma di gatti, pecore o altri animali da cortile.
Simboli di un mondo in cui il confine tra umano e animale era sottile e permeabile.
Durante le “vije,” le veglie serali nelle stalle, le famiglie raccontavano storie di masche.
Spaventavano i bambini, ma intrattenevano gli adulti.
Questi racconti esorcizzavano la paura dell’ignoto e preservavano un legame con un passato in cui il mistero e la magia erano parte della quotidianità.
Le masche non erano solo figure di paura.
Incarnevano anche una forma di resistenza culturale.
Contrastavano un sistema che cercava di sradicare la saggezza popolare.
Le loro storie sono sopravvissute ai secoli.
Ancora oggi, “aver visto le masche” descrive eventi inspiegabili o spaventosi.
Questo dimostra che continuano a esercitare un fascino profondo sull’immaginario collettivo.
Oggi, le masche rimangono parte integrante del folklore del Piemonte.
Simbolizzano un mondo in cui il confine tra la vita e la morte è sottile.
Il mistero si intreccia con la quotidianità.
Rappresentano il lato oscuro e temuto della natura umana, ma anche la capacità di guarire, proteggere e resistere.
Le masche, con i loro poteri tramandati di generazione in generazione, vivono ancora nelle storie e nelle leggende.
Mantengono viva la memoria di un passato in cui la magia era reale e palpabile.