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25 aprile, la vera storia di “Bella Ciao”. Dai partigiani a Yves Montand, come è diventata un inno di resistenza.

Da canzone minore della Resistenza italiana a simbolo internazionale di libertà, “Bella ciao” ha percorso un cammino straordinario e complesso, raccontato da Carlo Pestelli, musicista, cantautore e dottore di ricerca in Storia della lingua, nel suo libro “Bella ciao. La canzone della libertà”, pubblicato da Add editore. Pestelli esplora le origini misteriose e spesso controverse del brano, evidenziando somiglianze con antichi canti del Nord Italia, come “Fior di tomba”, e influenze musicali diverse, incluso il kletzmer.
La canzone non era particolarmente popolare tra i partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale, limitata a gruppi specifici in regioni come Reggio Emilia, Modena, e le Langhe. Solo negli anni ’50, “Bella ciao” è stata adottata come un unificatore delle diverse fazioni della Resistenza, trascendendo le affiliazioni politiche e diventando un simbolo atemporale di lotta.
Il suo successo internazionale è stato cementato da Yves Montand nel 1963, e in seguito adottato in contesti di lotta e resistenza in tutto il mondo, da braccianti messicani in California a movimenti in Turchia e Ucraina. La canzone è stata anche un punto focale nelle manifestazioni seguite alla strage di Charlie Hebdo, dimostrando la sua resilienza e adattabilità come inno di libertà universale.

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