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80 anni fa moriva Georges Méliès: il suo cinema dei sogni, fra letteratura e Belle Epoque.

Un omnibus attraversa lentamente Place de l’Opéra. La scena è tranquilla, tutto procede secondo i piani, ma, improvvisamente, accade qualcosa di inaspettato: al posto della carrozza compare, come dal nulla, un carro funebre. È magia, o un semplice trucco ben studiato? Nel caso di Georges Méliès, entrambi. Abilità tecniche, fantasia e anche una certa dose di casualità fortunata hanno contribuito a renderlo uno dei nomi più importanti, ed influenti, dell’intera storia del cinema. Ma se si parla di Méliès non è soltanto di cinema che si sta parlando: si parla di letteratura, di arte pittorica messa in movimento, di immagini che riproducono dei veri e propri tableaux vivants impressi sulla pellicola, di storie strabilianti che oggi, molto probabilmente, solo l’innocenza di un bambino potrebbe tornare ad immaginare. Osannato dalla critica e dimenticato troppo presto, Georges Méliés trasformò un mero mezzo di documentazione della realtà, per quanto già di per sé affascinante, in qualcosa di più: con Méliès il cinema diventa arte.

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