San Pietro in Vincoli: il primo vero cimitero di Torino.

27 Dicembre 2018 - 19:12--Cimiteri-

Se potessimo sorvolare il quartiere Aurora di Torino, guardando il dedalo di vie e viette che si snodano sotto di noi (con una visuale dall’alto alla Google Maps, per intenderci) vedremmo incastonata, tra il Sermig e il Cottolengo, una strana costruzione a pianta rettangolare.
Visto dall’alto, il cimitero di San Pietro in Vincoli ci appare quasi come una chiesa “scoperchiata”, con una navata centrale che attraversa uno spiazzo in erba. E all’incirca così doveva apparire nel 1777, anno in cui fu aperto, su progetto dell’architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco.
Il 25 novembre 1777, Vittorio Amedeo III di Savoia, attraverso un Regio Decreto (che anticipava di svariati anni il più famoso editto in materia, emanato da Napoleone), proibiva definitivamente le sepolture nelle chiese per i cittadini comuni.
Si ricordi, infatti, come le persone di basso rango fossero solite seppellire i propri morti sotto i pavimenti delle chiese cittadine, stipandoli uno sull’altro (al contrario dei nobili, che all’interno delle chiese possedevano cappelle private) alimentando i rischi di epidemie e funestando le afose estati torinesi. Ecco così che nascono i primi cimiteri cittadini fuori le mura: San Lazzaro e San Pietro in Vincoli, che si sarebbero spartiti i corpi provenienti dalle chiese della città.
Il cimitero di San Pietro in Vincoli ha una lunga corte interna, bordata di portici coperti su tre lati. Nella corte sono scavati 44 pozzi, ripartiti tra le chiese della città, per le sepolture comuni: i pozzi erano divisi in zone (ossario, cadaveri nudi e con feretro) ed esposti alle intemperie (a la pieuva), mentre sotto i portici sono presenti tombe private e coperte per le famiglie nobili. Al di fuori del cimitero, alcune zone erano adibite alla sepoltura dei suicidi, dei non battezzati, dei non cristiani, degli esecutori di giustizia e dei condannati a morte. Il cimitero venne immediatamente soprannominato dai torinesi San Pè dij còi, per l’assonanza dialettale tra còi (cavoli) e vincòi (vincoli) e la vicinanza con i campi adibiti a tale coltivazione.

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Se potessimo sorvolare il quartiere Aurora di Torino, guardando il dedalo di vie e viette che si snodano sotto di noi (con una visuale dall’alto alla Google Maps, per intenderci) vedremmo incastonata, tra il Sermig e il Cottolengo, una strana costruzione a pianta rettangolare.
Visto dall’alto, il cimitero di San Pietro in Vincoli ci appare quasi come una chiesa “scoperchiata”, con una navata centrale che attraversa uno spiazzo in erba. E all’incirca così doveva apparire nel 1777, anno in cui fu aperto, su progetto dell’architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco.
Il 25 novembre 1777, Vittorio Amedeo III di Savoia, attraverso un Regio Decreto (che anticipava di svariati anni il più famoso editto in materia, emanato da Napoleone), proibiva definitivamente le sepolture nelle chiese per i cittadini comuni.
Si ricordi, infatti, come le persone di basso rango fossero solite seppellire i propri morti sotto i pavimenti delle chiese cittadine, stipandoli uno sull’altro (al contrario dei nobili, che all’interno delle chiese possedevano cappelle private) alimentando i rischi di epidemie e funestando le afose estati torinesi. Ecco così che nascono i primi cimiteri cittadini fuori le mura: San Lazzaro e San Pietro in Vincoli, che si sarebbero spartiti i corpi provenienti dalle chiese della città.
Il cimitero di San Pietro in Vincoli ha una lunga corte interna, bordata di portici coperti su tre lati. Nella corte sono scavati 44 pozzi, ripartiti tra le chiese della città, per le sepolture comuni: i pozzi erano divisi in zone (ossario, cadaveri nudi e con feretro) ed esposti alle intemperie (a la pieuva), mentre sotto i portici sono presenti tombe private e coperte per le famiglie nobili. Al di fuori del cimitero, alcune zone erano adibite alla sepoltura dei suicidi, dei non battezzati, dei non cristiani, degli esecutori di giustizia e dei condannati a morte. Il cimitero venne immediatamente soprannominato dai torinesi San Pè dij còi, per l’assonanza dialettale tra còi (cavoli) e vincòi (vincoli) e la vicinanza con i campi adibiti a tale coltivazione.

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