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Pirandello e quei rapporti con Vaticano, cremazione e fede.

Ricordare Luigi Pirandello a centocinquant’anni dalla nascita, significa richiamare la storia di uno scrittore tutta vissuta tra l’infinito che c’è dentro di noi e le barriere della condizione materiale umana; la splendente favilla solitaria dentro gli uomini e fuori, solo buio; il desiderio di una libertà senza confini terrestri e il disprezzo completo per il corpo. “Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui”, aveva scritto sul foglietto trovato il giorno della morte il 10 dicembre 1936. Ma passarono anni e peripezie degne della sua penna prima che fosse esaudito; prima che, come cenere, tornasse là, ad Agrigento, dov’era nato il 28 giugno 1867 nella contrada detta Caos da Stefano e Caterina Ricci Gramitto, rifugiatisi lì durante un’epidemia di colera.

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