I giovani morti viventi immolati sull’altare della Russia sovietica.

12 Luglio 2019 - 15:14--Attualità-

Venditori di papirosy si intitolava la poesia di Esenin dedicata ai besprizornye, i ragazzi di strada, i ragazzi randagi nella Russia sovietica alle prese con la Rivoluzione. Era il 1923 e romanticamente il grande, sfortunato poeta russo poteva ancora illudersi che i suoi «disperati ragazzacci» «pellegrini su luride strade,/ nel piacere di giochi malvagi» fossero «tutti ladri in allegria»…

Toccherà a Majakovskij, nemmeno tre anni dopo, prendere atto che la poesia non poteva sconfiggere la realtà, il «sozzume di besprizornye:/ riserva senza fine di teppisti» «e il filo del coltello/ è rosso di sangue». «Mettete lo slogan: Lotta alla piaga dei besprizornye» diceva l’ultimo verso che riprendeva il titolo di quella che, a sua volta, Majakovskij si illudeva potesse essere letteratura militante, ovvero l’unico modo possibile per sconfiggere una piaga sociale, la sua trasformazione in problema ideologico-politico.
Il dramma della Rivoluzione e dei suoi cantori, riluttanti o entusiasti, era tutto lì, quell’essere «Noi – figli dei terribili anni della Russia» immortalato in un celebre verso di un altro dei suoi grandi cantori, Alexsandr Blok, ovvero il simbolismo metaforico con cui si cercava di sfuggire la realtà, «la generazione che ha dissipato i suoi poeti», come Roman Jakobson scriverà all’epoca non potendo dire la verità nuda e cruda sulla mattanza intellettuale che invece c’era stata.
Termini come «terribile», «dissipazione» e, appunto, «besprizornye», ovvero i «figli del cuculo» di un romanzo di Il’ia Erenburg scritto negli anni Venti, servivano insomma per circumnavigare un continente tanto profondo quanto privo di pietà… Bisognerà arrivare al Dottor Zivago di Pasternak perché finalmente si prenda atto che «tutto quel che era metaforico è diventato letterale: i figli sono veramente i figli e i terrori sono terribili».
Era una presa d’atto grazie alla quale era ora possibile contemplare l’orrore perché era caduta la maschera ideologica indossata per poterlo negare. Solo così si poteva capire perché, ancora nel 1935, il Soviet dei Commissari del Popolo e il Comitato centrale potessero da un lato annunciare la «liquidazione definitiva» dei besprizornye come problema sociale e dall’altro abbassare a 12 anni il limite d’età per l’applicazione di qualsiasi pena, compresa la pena di morte.
Detto in parole povere, per eliminare il fenomeno dell’infanzia abbandonata e/o delinquenziale bastava trasformare per legge i bambini in adulti.

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Venditori di papirosy si intitolava la poesia di Esenin dedicata ai besprizornye, i ragazzi di strada, i ragazzi randagi nella Russia sovietica alle prese con la Rivoluzione. Era il 1923 e romanticamente il grande, sfortunato poeta russo poteva ancora illudersi che i suoi «disperati ragazzacci» «pellegrini su luride strade,/ nel piacere di giochi malvagi» fossero «tutti ladri in allegria»…

Toccherà a Majakovskij, nemmeno tre anni dopo, prendere atto che la poesia non poteva sconfiggere la realtà, il «sozzume di besprizornye:/ riserva senza fine di teppisti» «e il filo del coltello/ è rosso di sangue». «Mettete lo slogan: Lotta alla piaga dei besprizornye» diceva l’ultimo verso che riprendeva il titolo di quella che, a sua volta, Majakovskij si illudeva potesse essere letteratura militante, ovvero l’unico modo possibile per sconfiggere una piaga sociale, la sua trasformazione in problema ideologico-politico.
Il dramma della Rivoluzione e dei suoi cantori, riluttanti o entusiasti, era tutto lì, quell’essere «Noi – figli dei terribili anni della Russia» immortalato in un celebre verso di un altro dei suoi grandi cantori, Alexsandr Blok, ovvero il simbolismo metaforico con cui si cercava di sfuggire la realtà, «la generazione che ha dissipato i suoi poeti», come Roman Jakobson scriverà all’epoca non potendo dire la verità nuda e cruda sulla mattanza intellettuale che invece c’era stata.
Termini come «terribile», «dissipazione» e, appunto, «besprizornye», ovvero i «figli del cuculo» di un romanzo di Il’ia Erenburg scritto negli anni Venti, servivano insomma per circumnavigare un continente tanto profondo quanto privo di pietà… Bisognerà arrivare al Dottor Zivago di Pasternak perché finalmente si prenda atto che «tutto quel che era metaforico è diventato letterale: i figli sono veramente i figli e i terrori sono terribili».
Era una presa d’atto grazie alla quale era ora possibile contemplare l’orrore perché era caduta la maschera ideologica indossata per poterlo negare. Solo così si poteva capire perché, ancora nel 1935, il Soviet dei Commissari del Popolo e il Comitato centrale potessero da un lato annunciare la «liquidazione definitiva» dei besprizornye come problema sociale e dall’altro abbassare a 12 anni il limite d’età per l’applicazione di qualsiasi pena, compresa la pena di morte.
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