Femminicidio. La morte è femmina. L’assassinio è maschio.

2 Aprile 2025 - 18:30--In Evidenza-

Un altro femminicidio.

Sara Campanella aveva 22 anni.
Era una studentessa come tante, con sogni, progetti e una vita davanti.
Ma aveva anche paura.
Lo aveva scritto in un messaggio a un’amica: “Il malato mi segue”.

Sara si sentiva osservata, controllata, perseguitata.
E quel timore, che troppo spesso viene sminuito, ignorato o minimizzato, si è trasformato in morte.

Il suo presunto assassino si chiama Stefano Argentino, ha 27 anni, viene da Noto, ed era uno studente nella stessa facoltà.
“Un innamorato non corrisposto”, dicono.
Ma l’amore non uccide.
L’ossessione sì.

Secondo i Carabinieri, la perseguitava da almeno due anni.
Due anni in cui Sara ha probabilmente vissuto in un limbo di ansia e tensione, senza trovare un rifugio sicuro, senza che la sua voce fosse ascoltata davvero.

Eh già. Si dice “presunto”, ma mentre scriviamo non è più presunto.

Ha ammesso il fatto. Ma non sa spiegare perché.

Femminicidio

Una parola che non è solo cronaca, ma una ferita collettiva.
Una ferita che si riapre ogni volta che una donna viene uccisa “per amore”, “per gelosia”, “perché lui non accettava la fine”.
Ogni volta che si cerca di trovare una giustificazione al carnefice.
Ogni volta che si colpevolizza la vittima con un “forse avrebbe dovuto denunciare prima”.

Sara aveva paura.
Lo aveva detto.
Lo aveva scritto.
Ma non è bastato.

TGFuneral24 e il silenzio che fa rumore

TGFuneral24 non si occupa di notizie di cronaca o di ultim’ora.
Dietro il TGFuneral24 ci sono persone, donne e uomini, con la propria storia.

Ci siamo chiesti se valesse la pena essere tra i tanti che in queste ore sprecano tastiere e inchiostro per affermazioni del tipo:
“Non si può stare in silenzio”,
“Bisogna fermare questa strage”,
“Ci vogliono pene più severe”.

Le citazioni potrebbero continuare: ancora, ancora, ancora…

Noi del TGFuneral24 non sappiamo, in tutta onestà, a cosa possa servire un articolo o un post in più o in meno.
Ma una cosa la sappiamo: Sara non può più parlare. E neanche tutte le altre ammazzate prima di lei.
E allora, forse, vale comunque la pena scrivere.
Non per aggiungere rumore.
Ma per fare spazio al silenzio che resta, quando una vita viene spenta.

Non possiamo più permetterci l’indifferenza eppure…

Dopo la sua morte, sono nate iniziative per ricordarla.
Fiori, indignazione, messaggi, cortei.
Ma a cosa serve se niente cambia?
A cosa servono le commemorazioni se continuiamo a non ascoltare le donne vive che chiedono aiuto?

Chi aiuta un uomo a fuggire dopo un omicidio è complice.
Chi minimizza, chi gira lo sguardo, chi dice “sono cose tra loro”, lo è altrettanto.

Sara è l’ennesima.

Il femminicidio non è una questione privata.
È una piaga sociale.
È un fallimento culturale.
È il prodotto tossico di una mentalità che ancora oggi serpeggia e ci avvolge.

Non possiamo più far finta che questi crimini siano improvvisi e inspiegabili.
Sono annunciati.
E spesso ignorati.

Femminicidio. E allora?

O continuiamo a indignarci solo dopo l’ennesima tragedia,
oppure iniziamo davvero a cambiare.

Sara Campanella non doveva morire.

Non dovevano morire ammazzate neanche: Ilaria, Laura, Tilde, Eleonora, Sabrina, Cinzia…

Sara e le altre avevano chiesto aiuto, con il silenzio, con la paura, con le azioni, con il coraggio, a volte persino con le parole.
Non è servito. Visto che adesso sono morte.

Laura Persico Pezzino

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2 Aprile 2025 - 18:30--In Evidenza-

Un altro femminicidio.

Sara Campanella aveva 22 anni.
Era una studentessa come tante, con sogni, progetti e una vita davanti.
Ma aveva anche paura.
Lo aveva scritto in un messaggio a un’amica: “Il malato mi segue”.

Sara si sentiva osservata, controllata, perseguitata.
E quel timore, che troppo spesso viene sminuito, ignorato o minimizzato, si è trasformato in morte.

Il suo presunto assassino si chiama Stefano Argentino, ha 27 anni, viene da Noto, ed era uno studente nella stessa facoltà.
“Un innamorato non corrisposto”, dicono.
Ma l’amore non uccide.
L’ossessione sì.

Secondo i Carabinieri, la perseguitava da almeno due anni.
Due anni in cui Sara ha probabilmente vissuto in un limbo di ansia e tensione, senza trovare un rifugio sicuro, senza che la sua voce fosse ascoltata davvero.

Eh già. Si dice “presunto”, ma mentre scriviamo non è più presunto.

Ha ammesso il fatto. Ma non sa spiegare perché.

Femminicidio

Una parola che non è solo cronaca, ma una ferita collettiva.
Una ferita che si riapre ogni volta che una donna viene uccisa “per amore”, “per gelosia”, “perché lui non accettava la fine”.
Ogni volta che si cerca di trovare una giustificazione al carnefice.
Ogni volta che si colpevolizza la vittima con un “forse avrebbe dovuto denunciare prima”.

Sara aveva paura.
Lo aveva detto.
Lo aveva scritto.
Ma non è bastato.

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Ma una cosa la sappiamo: Sara non può più parlare. E neanche tutte le altre ammazzate prima di lei.
E allora, forse, vale comunque la pena scrivere.
Non per aggiungere rumore.
Ma per fare spazio al silenzio che resta, quando una vita viene spenta.

Non possiamo più permetterci l’indifferenza eppure…

Dopo la sua morte, sono nate iniziative per ricordarla.
Fiori, indignazione, messaggi, cortei.
Ma a cosa serve se niente cambia?
A cosa servono le commemorazioni se continuiamo a non ascoltare le donne vive che chiedono aiuto?

Chi aiuta un uomo a fuggire dopo un omicidio è complice.
Chi minimizza, chi gira lo sguardo, chi dice “sono cose tra loro”, lo è altrettanto.

Sara è l’ennesima.

Il femminicidio non è una questione privata.
È una piaga sociale.
È un fallimento culturale.
È il prodotto tossico di una mentalità che ancora oggi serpeggia e ci avvolge.

Non possiamo più far finta che questi crimini siano improvvisi e inspiegabili.
Sono annunciati.
E spesso ignorati.

Femminicidio. E allora?

O continuiamo a indignarci solo dopo l’ennesima tragedia,
oppure iniziamo davvero a cambiare.

Sara Campanella non doveva morire.

Non dovevano morire ammazzate neanche: Ilaria, Laura, Tilde, Eleonora, Sabrina, Cinzia…

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Non è servito. Visto che adesso sono morte.

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