Il 20 luglio 2015 si è spenta una stella che ha reso più allegro e più colorato il firmamento del magico mondo dell’abbigliamento internazionale. Lo stilista milanese Elio Fiorucci, geniale innovatore della moda cosmopolita, è venuto a mancare in solitudine, stroncato da un improvviso malore nella sua casa di Milano. Aveva appena compiuto 80 anni, ma la sua scomparsa ha colto parenti e amici di sorpresa poiché godeva di ottima salute, ancora partecipe della sua attività creativa con freschezza e con vivacità.
Con Fiorucci è venuto a mancare uno dei più amati e stimati artefici del made in Italy che ha contribuito a innalzare l’immagine di Milano a capitale della moda. Il vuoto lasciato appare incolmabile e ancor più doloroso in questo momento italico connotato da sudditanza, da inibizione e da inspiegabile oppressione di ogni creatività imprenditoriale che da sempre è stata fiore all’occhiello della nostra produzione. Si svendono i marchi più prestigiosi, non si sostengono le vecchie e le nuove industrie, sottoposte a inspiegabile smantellamento fiscale, burocratico e morale. Scelte di governo che sono sotto gli occhi allibiti di tutti, eppure uomini come Fiorucci avevano mostrato la strada.
La sua storia è simile a quella di altri insigni pionieri dell’imprenditoria ambrosiana, uomini caratterizzati da intuizione, da lungimiranza e da coraggio industriale. Figlio di un commerciante di pantofole, giramondo attento e anticonformista, alla fine degli anni ‘60 rivoluzionò la moda ispirato dalla forza del colore e dalla pop art, scardinando le regole classiche della moda borghese e rendendo la sua giovanile produzione alla portata di tutti, intuendo il fascino dello “street style”. La prima illuminazione “pop” risale agli albori della sua carriera, quando ancora è un mercante di scarpe. È legata ad un modello di calosce in plastica dai colori sgargianti che hanno restituito vita e interesse ad un oggetto ormai dimenticato, lanciando il designer verso un marchio che ha segnato un’epoca.
Già nel 1967 Fiorucci apre il primo negozio in Galleria Passerella a Milano. Nel 1970 inizia la produzione di spigliato abbigliamento d’uso quotidiano con il proprio marchio. Nel ‘73 crea per le ragazze i jeans “skinny”, maliziosamente effigiati sul sedere. Nel ‘76 apre uno show room a New York sulla 59a Strada. L’originale magazzino diventa un punto d’incontro che attrae tra gli altri Andy Warhol, che invita Fiorucci a casa sua contribuendo alla maturazione artistica del designer, e una giovanissima Madonna, che nell’83 si esibisce nel suo primo concerto allo Studio ‘54 proprio per i 15 anni del marchio. Gli anni ‘80 rappresentano l’apice del successo con l’approdo di esercizi a Los Angeles e poi a Tokyo, Sydney, Rio, Hong Kong. Fino al 1990, quando a causa di un dissesto finanziario lo stilista è costretto a vendere ai giapponesi di Edwin International, colosso dell’abbigliamento casual. Conserva per sé lo storico negozio in San Babila, ritrovo dei giovani, prima di cedere anche quello nel 2003 agli svedesi di H&M, senza rinunciare alla creatività e continuando a disegnare cromoterapia per guardaroba all’insegna della pace, dell’amore e del buonumore.
Percorso di un uomo che ha cambiato il modo di vestirsi inventando l’unisex, le felpe e le T-shirt “T-Art”, la “Love Therapy”, produzioni caratterizzate da giocose immagini pop, cuori, donnine e fumetti. Magliette “cult” mondiale che un mio amico pilota dell’Alitalia barattava a Tokio con gli orologi Seiko. Altrettanto esplosive le borse: di pelle, di tessuto, di plastica o di paglia, sempre contraddistinte dall’inconfondibile look, provocazione e colore. E, poi, una infinita collezione di accessori per una vita allegra e spensierata. Dalle scarpe agli occhiali, dai costumi agli orologi, lo stile originario è sempre rimasto fedele a se stesso e ancora oggi la griffe è un’icona del vestire free e trasgressivo figlio della “Swinging London”, assimilato da un giovane Fiorucci durante un viaggio in Inghilterra folgorato dalla scoperta di Biba, di King’s Road, di Carnaby Street. Uno stile assorbito, elaborato ed esportato in ogni angolo del pianeta.
Vi sono molti modi per valutare la grandezza di un uomo: uno è certamente il segno tangibile di ciò che ha lasciato in eredità e in memoria al genere umano, ma il migliore è di sicuro il ricordo istintivo che si può cogliere nelle parole della gente. La scomparsa di Elio Fiorucci è stata segnata da un coro di unanime dispiacere da parte dei più umili e fugaci conoscenti quanto di accreditate firme della moda, dell’arte e dello spettacolo, fino alle cariche più alte dello Stato. Le frasi ricorrenti hanno raccontato di un uomo gentile, generoso, laborioso, che amava la bellezza e che ha segnato un punto di svolta sulle abitudini, sulla sensibilità, sulle regole di una quotidianità del vestire contemporanea e universale. Ma chi decide nelle alte sfere, andando oltre la dialettica della memoria, deve decidersi a snellire il percorso dei nuovi artisti che verranno. L’Italia grida opportunità per nuovi talenti, per altre stelle che riempiano il vuoto. Corrado Passera, dopo aver appreso della scomparsa dello stilista, ha postato sulla rete: “Milano tenga viva la memoria di Fiorucci, con nuovi spazi dedicati a chi sperimenta e innova”. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha evidenziato come “Fiorucci ha saputo parlare a generazioni di giovani attraverso stimoli e idee non convenzionali che arrivavano dall’estero, ma che riusciva a interpretare e a proporre con grande sensibilità e con intelligenza”.
Sono effigi verbali delle quali ogni anima artistica non può che essere gratificata, ovunque essa sia. Come romantica esteriorità conclusiva, immaginare una degna ospitalità nell’oltre per un così degno imprenditore è quanto meno cosa certa, figurare nella mente un’accoglienza con milioni di bianche Angels T-shirt non è altro che un celeste omaggio pop, un’immagine, una visione, un tributo al sogno per chi ha saputo sognare e far sognare.
Carlo Mariano Sartoris