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Nessun abuso della Casa Funeraria: Rubeo condannato a pagare 180mila euro di spese.

Antonio Rubeo, imprenditore marsicano, ha visto la sua richiesta di risarcimento, definita “del tutto infondata,” trasformarsi in un boomerang legale.
Ieri, infatti, il giudice del tribunale civile di Sulmona, Giulia Sani, ha respinto punto per punto le accuse che Rubeo aveva mosso contro la Casa funeraria Caliendo e Salutari, il Comune di Sulmona, l’architetto responsabile del progetto e altre quattro società proprietarie dei terreni coinvolti.
Secondo Rubeo, queste parti avrebbero causato un danno economico di quasi 900mila euro, ma il giudice ha smantellato tali affermazioni.
Non solo le accuse di Rubeo sono state respinte, ma la sua stessa società, la FIR, è stata condannata a pagare circa 180mila euro per le spese legali.
Questo verdetto segna una netta sconfitta per l’imprenditore, che aveva anche presentato una denuncia alla procura, spingendo gli investigatori a raccogliere documenti due anni fa presso il Comune di Sulmona. Tuttavia, ad oggi, l’inchiesta non ha evidenziato alcun reato.
Rubeo sosteneva che la Casa funeraria e gli altri coinvolti avessero sottratto terreni edificabili dietro l’ospedale di Sulmona, dove lui intendeva costruire una residenza sanitaria assistita (RSA) da 120 posti, già approvata dalla Regione.
Secondo la sua versione, la Casa funeraria avrebbe ottenuto dal Comune un piano planivolumetrico basato su calcoli errati, riducendo la capacità edificatoria dei suoi terreni e bloccando il suo progetto.
Tale operazione, sempre secondo Rubeo, sarebbe stata condotta in violazione di un accordo privato in cui la FIR e altre due società si impegnavano a presentare insieme il piano di sviluppo dell’area, con il Comune complice nell’approvazione del piano. Inoltre, la FIR lamentava una serie di violazioni, tra cui il mancato rispetto degli accordi sulla servitù di passaggio e l’interclusione dei terreni.
La più grave delle accuse, quella di falso in relazione ai calcoli errati nel piano planivolumetrico, è stata rigettata dal giudice.
La sentenza ha chiarito che “i vizi dedotti si sono rivelati inesistenti”.

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