Nelle culture occidentali la morte è non accettazione del naturale divenire; è un tabù di cui la narrazione post-moderna si serve per plasmare corpo e anima della nostra condizione umana: si vive in funzione di non morire.
Non la si nomina perché la parola, che è sostanza, annichilisce. In altre culture la morte, più aderente alla propria concezione naturale, “vive”, accompagnando la trasformazione universale delle cose, non creando tabù devianti e non associandosi solo a sterile dolore. Una tale visione rende concepibile un funerale la cui struttura assume le sembianze di una festa, di una gioia collettiva in cui i familiari e la comunità accompagnano il defunto nell’aldilà. Questo è ciò che avviene in Ghana, dove la morte va celebrata perché non segna la fine di una vita, ma un ritorno a casa, dagli antenati.