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Un suicidio da archiviare in fretta.

C’è una maledetta fretta di archiviare la morte per suicidio di Omar Pace, colonnello della Guardia di finanza in forza alla Direzione Investigativa Antimafia che si è tolto la vita nel suo ufficio sparandosi alla tempia. Quel corpo senza vita crea imbarazzo ai vertici nazionali della DIA e genera diffusi timori. Crea ancora più problemi oggi di quanti non ne avesse provocati fino a ieri con la sua cocciutaggine, la sua trasparenza, il suo idealismo d’altri tempi. Si è spezzato ma non si è piegato. Ai giornalisti “amici” i vertici mandano, in queste ore, veline rassicuranti: “Omar non ha retto psicologicamente ad alcuni eventi luttuosi che lo avevano recentemente colpito“. È un “banale suicidio“, rispettiamo la sua memoria “evitando di speculare sopra la sua morte“. “Tutte balle“, gridano le voci di dentro. Dentro quella DIA che non è più quella di un tempo. E sui tavoli dei cronisti meno avvezzi a ospitare le veline del “sistema” arrivano dettagliate ricostruzioni di quanto ha dovuto subire in questi ultimi mesi Omar Pace. Segnali chiari perché si “piegasse”. Dal divieto a continuare la docenza nei corsi universitari che gli erano stati assegnati alla diffida a mantenere rapporti con magistrati dei quali era stato fedelissimo quanto prezioso collaboratore.

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