Con Liu Xiaobo, il premio Nobel per la Pace 2010 che Pechino non ha mai riconosciuto come tale, muore anche un pezzo di Cina. La Cina migliore, quella dei primi anni del secondo millennio, fino alle mefitiche Olimpiadi del 2008 che ne glorificarono il ritorno al despotismo oscurantista. Xiaobo, morto di cancro in carcere a 61 anni, aveva creduto per tutta la sua vita che un Paese migliore fosse possibile. Una Cina libera dal morso del partito unico che corrode le menti e ormai anche i cuori. Una Cina democratica non sulla carta, ma tra hutong e grattacieli, tra risaie mortalmente fosforescenti e Internet caffè bui di luce e dignità. Una Cina che credesse nella potenza che nasce soltanto dalla libertà e non ciecamente alla retorica dei soldi, troppi e in mano a troppo pochi.