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40 anni fa la morte di Re Cecconi, l’eroe della Lazio ucciso perché confuso per un ladro.

Morì appena due mesi dopo il suo allenatore e mentore, come a chiudere drammaticamente un cerchio. Erano i giorni in cui il destino si riprese tutto, racconta ancora oggi chi li ha vissuti da protagonista. Prima aveva dato, consegnando nelle mani di quella leggendaria Lazio lo scudetto del ‘74, il primo biancoceleste, e poi si era ripreso: la morte dell’allenatore Tommaso Maestrelli, “il Maestro”, nel dicembre del 1976 e a seguire quella ancora avvolta nel mistero di Luciano Re Cecconi. Capelli biondi, quasi albini, fisico potente e polmoni di acciaio, il centrocampista originario di Nerviano, nel milanese, era stato tra i principali protagonisti dello scudetto della Lazio di Chinaglia e Pulici. Un gol al Milan all’ultimo minuto aveva spianato la strada al tricolore. Ma Re Cecconi, l’“Angelo Biondo”, due presenze anche in nazionale, è ricordato soprattutto per la sua morte assurda, le cui dinamiche non sono ancora state del tutto chiarite. Quella sera del 18 gennaio 1977, Luciano Re Cecconi si presenta alla gioielleria di Bruno Tabocchini, nella zona lazialissima (tuttora) della Collina Fleming; con lui ci sono il compagno di squadra Pietro Ghedin e un amico, il profumiere Giorgio Fraticcioli, che deve consegnare dei campioni di profumo al titolare. Il gruppetto entra nel negozio, pochi secondi e poi uno sparo. L’Angelo biondo viene colpito in pieno petto dalla pistola di Tabocchini e muore poco dopo all’ospedale. La successione di eventi non è limpida, neppure il processo seppe spiegarla. L’ipotesi più accreditata è che Re Cecconi, per scherzo, mise le mani in tasca e simulò una rapina e il titolare, in passato già vittima di casi analoghi, sparò per legittima difesa in preda al panico. Fu lo stesso Ghedin a confermare questa versione, ma il difensore biancoceleste poco dopo tornò sui suoi passi e negò l’intento scherzoso dello sfortunato compagno di squadra. Al termine del processo, Tabocchini fu assolto per “aver sparato per legittima difesa putativa” e la morte dell’Angelo Biondo è ancora un mistero.

fonte: www.corriere.it

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