Nel giugno del 1902 Joseph Conrad confessava agli amici il proprio sentimento di perdita: totale, assoluto, nella vita e nella letteratura. Il suo spirito — scrisse — si avviliva, la sua mano si appesantiva, la sua lingua si ispessiva, come se avesse bevuto un veleno sottile. Le parole restavano senza eco: sentiva in se stesso una profonda impotenza mentale; un vuoto, una stanchezza. Gli pareva che il mondo gli fosse stato sottratto da un essere sconosciuto.