Morte assistita: il Tribunale di Trieste nega la richiesta di Martina, malata di sclerosi multipla da oltre 20 anni.

Morte assistita: il caso di Martina solleva nuove riflessioni sul diritto in Italia. L’Associazione Luca Coscioni denuncia: “Rifiuto inaccettabile, perché Martina non dipende da macchinari”
Il Tribunale di Trieste ha respinto la richiesta presentata da Martina Oppelli, una donna affetta da sclerosi multipla da oltre vent’anni, di accedere al suicidio assistito. La decisione, resa pubblica dall’Associazione Luca Coscioni, arriva dopo una valutazione medica che ha escluso la presenza di trattamenti di sostegno vitale, considerati essenziali per poter accedere alla procedura secondo la normativa italiana vigente.
Le motivazioni del rigetto: “Non dipende da trattamenti vitali”
Secondo quanto riportato dall’Associazione Coscioni, i giudici del Tribunale di Trieste hanno fondato la loro decisione su una perizia medica che ha stabilito come Martina, pur nella sua gravissima condizione di salute, non sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Questa valutazione è centrale nell’attuale quadro normativo italiano, poiché la sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale ha stabilito che il suicidio assistito è ammissibile solo per chi è tenuto in vita da terapie o dispositivi artificiali.
Una posizione contestata con forza dall’Associazione Coscioni, che da anni si batte per ampliare l’accesso a scelte libere e consapevoli di fine vita, soprattutto nei casi di sofferenze fisiche e psicologiche irreversibili.
Martina Oppelli: “Forse si sono sbagliati: sono invalida al 100%”
Martina ha risposto alla decisione con parole dure e piene di amarezza, affidate a una nota diffusa dalla stessa associazione. “Io invalida al 100 per cento, forse le commissioni si sono sbagliate?”, scrive la donna. E prosegue elencando con lucidità le condizioni della sua quotidianità: “Come faccio io, totalmente immobile, a bere, a mangiare, ad assumere farmaci nelle 24 ore? Chi mi lava, chi mi cambia, chi mi aiuta anche solo a muovere una gamba?”.
Il suo racconto è un grido di dolore ma anche una denuncia concreta della distanza tra le norme giuridiche e la realtà vissuta da molte persone con disabilità gravi. Martina sottolinea di avere un’invalidità del 100%, con gravità certificata ai sensi della legge 104, e si chiede se le valutazioni delle commissioni mediche non abbiano ignorato aspetti fondamentali della sua condizione.
L’intervento dell’avvocato Filomena Gallo: “Serve una sentenza che vincoli davvero”
L’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni e legale di Martina, ha evidenziato come la recente sentenza 135/2024 della Corte Costituzionale, trattandosi di un rigetto, non abbia valore vincolante per i medici che hanno effettuato la nuova valutazione sul caso.
Gallo ha spiegato che, proprio per questo motivo, nell’udienza tenutasi martedì scorso davanti alla Consulta per il caso analogo di Elena e Romano, è stato richiesto alla Corte di esprimersi in modo chiaro e definitivo sul concetto di “trattamento di sostegno vitale”. L’obiettivo è ottenere una sentenza di accoglimento, che possa obbligare le aziende sanitarie e i tribunali a uniformarsi a un’interpretazione più ampia e rispettosa della libertà individuale.
Un tema che divide: il diritto a scegliere come morire
Il caso di Martina Oppelli riapre il dibattito sul diritto all’autodeterminazione e sulla necessità di una normativa chiara e completa sul suicidio assistito in Italia. Attualmente, l’accesso è possibile solo in condizioni molto specifiche, che escludono molte persone affette da patologie invalidanti, ma non collegate a macchinari di sopravvivenza.
L’Associazione Luca Coscioni continua a sostenere che questa interpretazione nega un diritto fondamentale e lascia migliaia di persone in condizioni di sofferenza e abbandono. Il caso di Martina, così come quelli di Elena e Romano, evidenziano la fragilità dell’attuale impianto normativo e la necessità urgente di una legge sul fine vita, come richiesto anche da una parte consistente dell’opinione pubblica e del mondo medico.
LPP
Morte assistita: il caso di Martina solleva nuove riflessioni sul diritto in Italia. L’Associazione Luca Coscioni denuncia: “Rifiuto inaccettabile, perché Martina non dipende da macchinari”
Il Tribunale di Trieste ha respinto la richiesta presentata da Martina Oppelli, una donna affetta da sclerosi multipla da oltre vent’anni, di accedere al suicidio assistito. La decisione, resa pubblica dall’Associazione Luca Coscioni, arriva dopo una valutazione medica che ha escluso la presenza di trattamenti di sostegno vitale, considerati essenziali per poter accedere alla procedura secondo la normativa italiana vigente.
Le motivazioni del rigetto: “Non dipende da trattamenti vitali”
Secondo quanto riportato dall’Associazione Coscioni, i giudici del Tribunale di Trieste hanno fondato la loro decisione su una perizia medica che ha stabilito come Martina, pur nella sua gravissima condizione di salute, non sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Questa valutazione è centrale nell’attuale quadro normativo italiano, poiché la sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale ha stabilito che il suicidio assistito è ammissibile solo per chi è tenuto in vita da terapie o dispositivi artificiali.
Una posizione contestata con forza dall’Associazione Coscioni, che da anni si batte per ampliare l’accesso a scelte libere e consapevoli di fine vita, soprattutto nei casi di sofferenze fisiche e psicologiche irreversibili.
Martina Oppelli: “Forse si sono sbagliati: sono invalida al 100%”
Martina ha risposto alla decisione con parole dure e piene di amarezza, affidate a una nota diffusa dalla stessa associazione. “Io invalida al 100 per cento, forse le commissioni si sono sbagliate?”, scrive la donna. E prosegue elencando con lucidità le condizioni della sua quotidianità: “Come faccio io, totalmente immobile, a bere, a mangiare, ad assumere farmaci nelle 24 ore? Chi mi lava, chi mi cambia, chi mi aiuta anche solo a muovere una gamba?”.
Il suo racconto è un grido di dolore ma anche una denuncia concreta della distanza tra le norme giuridiche e la realtà vissuta da molte persone con disabilità gravi. Martina sottolinea di avere un’invalidità del 100%, con gravità certificata ai sensi della legge 104, e si chiede se le valutazioni delle commissioni mediche non abbiano ignorato aspetti fondamentali della sua condizione.
L’intervento dell’avvocato Filomena Gallo: “Serve una sentenza che vincoli davvero”
L’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni e legale di Martina, ha evidenziato come la recente sentenza 135/2024 della Corte Costituzionale, trattandosi di un rigetto, non abbia valore vincolante per i medici che hanno effettuato la nuova valutazione sul caso.
Gallo ha spiegato che, proprio per questo motivo, nell’udienza tenutasi martedì scorso davanti alla Consulta per il caso analogo di Elena e Romano, è stato richiesto alla Corte di esprimersi in modo chiaro e definitivo sul concetto di “trattamento di sostegno vitale”. L’obiettivo è ottenere una sentenza di accoglimento, che possa obbligare le aziende sanitarie e i tribunali a uniformarsi a un’interpretazione più ampia e rispettosa della libertà individuale.
Un tema che divide: il diritto a scegliere come morire
Il caso di Martina Oppelli riapre il dibattito sul diritto all’autodeterminazione e sulla necessità di una normativa chiara e completa sul suicidio assistito in Italia. Attualmente, l’accesso è possibile solo in condizioni molto specifiche, che escludono molte persone affette da patologie invalidanti, ma non collegate a macchinari di sopravvivenza.
L’Associazione Luca Coscioni continua a sostenere che questa interpretazione nega un diritto fondamentale e lascia migliaia di persone in condizioni di sofferenza e abbandono. Il caso di Martina, così come quelli di Elena e Romano, evidenziano la fragilità dell’attuale impianto normativo e la necessità urgente di una legge sul fine vita, come richiesto anche da una parte consistente dell’opinione pubblica e del mondo medico.
LPP