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REGISTA OCCULTO O CAPRO ESPIATORIO? FORSE SOLO DIO LO SA! – LA SCOMPARSA DI LICIO GELLI

Il 15 dicembre 2015 l’enigmatica figura di Licio Gelli ha restituito l’ultimo soffio vitale portando con sé nel luogo più misterioso del Creato altri segreti italiani destinati a rimanere tali. Molto si è dibattuto sulle sue gesta: uomo dalle umili origini asceso ai massimi livelli di un “venerabile ordine terreno” politico e decisionale, per poi tornare polvere, tramandato alla storia per il suo ruolo nella loggia massonica nota come “P2” e per una lunga serie di scandali. Ma chi era veramente e cosa significava questa sigla di occulta fratellanza?

La prima loggia “Propaganda” fu fondata nel 1877 quale sostegno agli ideali patriottici risorgimentali, come stabilito dall’allora Gran Maestro Giuseppe Mazzoni. Ad essa aderirono i più noti esponenti intellettuali e politici dell’epoca, sia repubblicani mazziniani che liberali o monarchici. L’attività politica proseguì fino alla caduta del fascismo per essere rifondata nel dopoguerra dal Gran Maestro Giordano Gamberoni con l’aggiunta del numero 2. Obiettivo era quello di sostenere il ramo liberale, repubblicano, socialdemocratico e cattolico del governo contro la spinta del comunismo e della destra eversiva. In questo contesto storico politico la figura di Licio Gelli, uomo d’azione e militante fascista uscito bene dalla guerra di liberazione per una scelta di campo che salvò dalla deportazione partigiani ed ebrei, si introduce nel contesto massonico a partire dagli anni ‘60. A quel tempo la Loggia del Grande Oriente d’Italia si stava organizzando come un sistema atto a dirimere questioni internazionali e nazionali nel nome del bene liberale e democratico della Nazione. Dopo essere divenuto Maestro Venerabile della loggia P2 nel 1970, e dopo un decennio in cui è stato una figura di peso e di potere “parallelo”, la caleidoscopica storia di Licio Gelli incappò in una clamorosa battuta d’arresto, nel 1981, in una indagine dei giudici Francesco Colombo e Giuliano Turone sul finto rapimento del banchiere Michele Sindona. In quell’occasione venne casualmente alla luce la lista degli appartenenti alla P2 (funzionari pubblici, industriali, politici e vertici militari), dando inizio alla parabola discendente del Venerabile, collegato alla serie infinita di quegli intrighi di cui il made in Italy è uno dei migliori produttori al mondo.

A partire da quel momento la figura di Licio Gelli fu affiancata allo scandalo del Banco Ambrosiano e alla misteriosa morte di Roberto Calvi, a complicità con il principe Valerio Borghese, al depistaggio di prove sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, a implicazioni con l’organizzazione “Gladio”, intrecciandosi con una lunga lista di trame eversive e di rapporti con organismi di potere, da quello politico a quello della criminalità organizzata. Teorie mai provate sostenevano fosse un agente della CIA. Ricostruzioni facilmente consultabili nelle tante relazioni consegnate ai posteri. Certo è che Licio Gelli venne condannato a 12 anni di carcere per numerosi reati, pena alla quale dapprima si sottrasse e che poi, dopo alterne peripezie, scontò parzialmente ai domiciliari presso la sua villa Wanda, ripudiato da molti e da qualcuno, forse, ancora temuto o riverito.

Sull’argomento Licio Gelli e P2 esistono una ricca documentazione e una poco diffusa bibliografia che dal tempo dello “scandalo P2” fu ignorata dalla stampa, affamata di scalpori. In questa Italia dei misteri, però, il dubbio è pur sempre una pratica da non accantonare e trent’anni dopo quegli eventi hanno iniziato a emergere ulteriori particolari sugli appartenenti alla loggia dei misteri e sulle loro intenzioni. A tal proposito, si rammenta che molti componenti della P2 andarono assolti dall’accusa di cospirazione ai danni dello Stato con sentenze definitive del ’94 e del ’96. In quest’anno di Giubileo e misericordia, dunque, applicando l’imponderabile a chi non c’è più e solo lui sapeva, ricordiamo una intervista rilasciata da Gelli il 28 settembre 2003 al sito Repubblica.it in cui l’ex Maestro elencava quel che a metà degli anni ‘70 era il suo Piano Di Rinascita Democratica, elaborato per contrastare irrisolti mali della politica italiana e la sua rugginosa immobilità. Era un elenco di progetti proposti alle istituzioni dell’epoca tra cui spiccano l’autonomia del sindacato dal potere politico, la riforma elettorale presidenziale, l’abrogazione dell’immunità parlamentare, la separazione delle carriere dei magistrati, la de-politicizzazione della magistratura, la riduzione ad una Camera dei Deputati, l’abolizione dei ministeri, degli enti inutili e delle Province, l’introduzione di severe pene per reati di corruzione compiuti da politici e funzionari pubblici, la privatizzazione della Rai. Riforme destinate a un’Italia burocratica e clientelare che di sicuro non facevano gli interessi delle forze politiche che si abbeverano a quelle fonti. Allora come ancora oggi è.

In questo Paese delle sette beghe, dove la verità si sposta come avesse le zampe, è difficile avere le idee chiare per la gente comune, spesso manipolata da una informazione faziosa. Ecco perché, affidando l’anima di Licio Gelli al sapiente giudizio di nostro Signore e scartabellando tra i ragguagli, è quasi lecito dubitare che, in Italia, chi si districa dalle proprie umili origini e si presenta al banchetto per la spartizione delle fette di potere scalzando qualche sedia ai predestinati per laurea, per titolo o per famiglia, sovente viene usato e, infine, in qualche modo eliminato. Un’ultima constatazione: al funerale di Licio Gelli, gran burattinaio o capro espiatorio che fosse, pare siano andate solo persone comuni e nessun soggetto di spicco. Un’altra prova del fatto che chi nasce in basso, per quanto salga di livello, il più delle volte è destinato ad esser sepolto solo dalla propria gente. 

Carlo Mariano Sartoris

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