31 gennaio 1854. Muore Silvio Pellico.
31 gennaio 1854. Muore Silvio Pellico.
Silvio Pellico nacque il 24 giugno 1789 a Saluzzo, nell’attuale provincia di Cuneo.
Secondogenito di Onorato Pellico e Margherita Tournier, ricevette un’educazione cattolica insieme ai suoi fratelli.
Dopo il trasferimento della famiglia a Torino e il fallimento dell’attività paterna, Silvio fu inviato a Lione, in Francia, per apprendere il commercio.
Tuttavia, dimostrò scarso interesse per gli affari e si appassionò agli studi classici e agli scrittori contemporanei come Foscolo e Alfieri.
Al ritorno in Italia nel 1809, Pellico si stabilì a Milano, dove iniziò a insegnare francese e a frequentare importanti figure culturali come Vincenzo Monti e Ugo Foscolo.
In questo periodo scrisse tragedie di ispirazione classica, tra cui Francesca da Rimini, che segnò il suo primo grande successo letterario.
L’impegno politico e l’arresto
Nel 1816 Pellico divenne istitutore nella casa del conte Porro Lambertenghi, entrando in contatto con figure culturali e politiche influenti.
Fu tra i fondatori del periodico Il Conciliatore, espressione del movimento romantico e risorgimentale.
Nel 1820 fu arrestato dalla polizia austriaca per la sua partecipazione alla setta dei “Federati”, un gruppo segreto patriottico.
Trasferito prima a Venezia, poi all’isola di Murano, fu processato e condannato a morte.
La pena fu successivamente commutata in quindici anni di carcere duro, da scontare nella fortezza dello Spielberg.
Le mie prigioni: un manifesto di resistenza
Durante i dieci anni di prigionia, Pellico visse una profonda riflessione personale, che lo portò a riscoprire la fede cristiana.
Dopo la scarcerazione, pubblicò il celebre libro di memorie Le mie prigioni (1832), in cui narrò con toccante semplicità le sofferenze vissute e l’importanza della fede come sostegno morale.
Quest’opera ebbe un’enorme influenza sul movimento risorgimentale, ispirando generazioni di patrioti.
Come dichiarato dallo stesso Metternich, Le mie prigioni “danneggiarono l’Austria più di una battaglia persa”.
La vita dopo la prigionia
Dopo la liberazione, Pellico si stabilì a Torino, dove lavorò per i marchesi di Barolo, Carlo Tancredi Falletti e Giulia Colbert.
Qui si dedicò a opere di beneficenza e scrisse altre tragedie, tra cui Tommaso Moro e Corradino.
Nel 1838 re Carlo Alberto gli concesse una pensione annua, riconoscendo il suo contributo culturale e patriottico.
Negli ultimi anni, Pellico abbracciò il laicato francescano, dedicandosi alla fede e alla riflessione spirituale.
La morte e il funerale di Silvio Pellico
Silvio Pellico morì il 31 gennaio 1854 a Torino, all’età di 64 anni.
La sua scomparsa fu un evento di grande rilevanza, che commosse l’intera nazione.
Le esequie si tennero a Torino, con la partecipazione di numerosi intellettuali e cittadini che vollero rendere omaggio al patriota e scrittore.
Pellico fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Torino, dove la sua tomba è ancora oggi meta di visitatori e appassionati.
Silvio Pellico nacque il 24 giugno 1789 a Saluzzo, nell’attuale provincia di Cuneo.
Secondogenito di Onorato Pellico e Margherita Tournier, ricevette un’educazione cattolica insieme ai suoi fratelli.
Dopo il trasferimento della famiglia a Torino e il fallimento dell’attività paterna, Silvio fu inviato a Lione, in Francia, per apprendere il commercio.
Tuttavia, dimostrò scarso interesse per gli affari e si appassionò agli studi classici e agli scrittori contemporanei come Foscolo e Alfieri.
Al ritorno in Italia nel 1809, Pellico si stabilì a Milano, dove iniziò a insegnare francese e a frequentare importanti figure culturali come Vincenzo Monti e Ugo Foscolo.
In questo periodo scrisse tragedie di ispirazione classica, tra cui Francesca da Rimini, che segnò il suo primo grande successo letterario.
L’impegno politico e l’arresto
Nel 1816 Pellico divenne istitutore nella casa del conte Porro Lambertenghi, entrando in contatto con figure culturali e politiche influenti.
Fu tra i fondatori del periodico Il Conciliatore, espressione del movimento romantico e risorgimentale.
Nel 1820 fu arrestato dalla polizia austriaca per la sua partecipazione alla setta dei “Federati”, un gruppo segreto patriottico.
Trasferito prima a Venezia, poi all’isola di Murano, fu processato e condannato a morte.
La pena fu successivamente commutata in quindici anni di carcere duro, da scontare nella fortezza dello Spielberg.
Le mie prigioni: un manifesto di resistenza
Durante i dieci anni di prigionia, Pellico visse una profonda riflessione personale, che lo portò a riscoprire la fede cristiana.
Dopo la scarcerazione, pubblicò il celebre libro di memorie Le mie prigioni (1832), in cui narrò con toccante semplicità le sofferenze vissute e l’importanza della fede come sostegno morale.
Quest’opera ebbe un’enorme influenza sul movimento risorgimentale, ispirando generazioni di patrioti.
Come dichiarato dallo stesso Metternich, Le mie prigioni “danneggiarono l’Austria più di una battaglia persa”.
La vita dopo la prigionia
Dopo la liberazione, Pellico si stabilì a Torino, dove lavorò per i marchesi di Barolo, Carlo Tancredi Falletti e Giulia Colbert.
Qui si dedicò a opere di beneficenza e scrisse altre tragedie, tra cui Tommaso Moro e Corradino.
Nel 1838 re Carlo Alberto gli concesse una pensione annua, riconoscendo il suo contributo culturale e patriottico.
Negli ultimi anni, Pellico abbracciò il laicato francescano, dedicandosi alla fede e alla riflessione spirituale.
La morte e il funerale di Silvio Pellico
Silvio Pellico morì il 31 gennaio 1854 a Torino, all’età di 64 anni.
La sua scomparsa fu un evento di grande rilevanza, che commosse l’intera nazione.
Le esequie si tennero a Torino, con la partecipazione di numerosi intellettuali e cittadini che vollero rendere omaggio al patriota e scrittore.
Pellico fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Torino, dove la sua tomba è ancora oggi meta di visitatori e appassionati.